Tra calle Embajadores, nei pressi della stazione Atocha, e Lavapies, popolare quartiere multietnico di Madrid, si trovano sia una sede di Izquierda Unida sia una «morada», uno degli spazi sociali gestiti dagli attivisti di Podemos. Si tratta di luoghi nei quali è possibile respirare la grande diversità tra le due formazioni.

Quella di Izquierda Unida è una tipica «sede politica» per come siamo abituati a concepirla in Italia, mentre quello di Podemos appare come un posto di ritrovo più «cool». Nei giorni precedenti il voto questa diversità veniva considerata da entrambe le parti come una ricchezza per l’alleanza di Unidos Podemos.

In soldoni, si pensava di mettere insieme una formazione fortemente radicata a sinistra, di classe, come Izquierda Unida, insieme a una forza più trasversale ma con grande «appeal» nei confronti dei giovani come Podemos. Da un lato un partito tradizionale, dall’altro un partito «liquido» molto presente sui media, in grado di fare opinione, ma incapace di mobilitare.

Dopo il voto, parlando con i militanti dell’una e dell’altra forza, questa differenza emerge in modo molto più problematico rispetto ai giorni precedenti. Nella sede di Izquierda Unida nel primo pomeriggio è in corso una riunione; poi via via dal secondo piano scendono i partecipanti. C’è un po’ di tutto: giovani e meno giovani. I volti sono nervosi e poco inclini a discutere.

Quando si chiede dell’esito elettorale il primo atteggiamento è quello di non volerne parlare. Poi però emergono alcune riflessioni. Uno dei primi militanti a parlare – un uomo di circa cinquant’anni – ritiene che l’esito delle elezioni sia stato «frustrante». Sulle ragioni ha le idee chiare: «Non ci ha votato chi è nelle lotte sociali, lo sapevamo che sarebbe stato un rischio e chissà non ci serva da lezione». Esce una ragazza, sui vent’anni. Chiediamo se ora Garzon, il leader di Izquierda Unida, rischia di essere messo in discussione. La risposta è secca: «No».

La sensazione, parlando con i militanti e i dirigenti di Izquierda Unida, è che la perdita dei voti sia arrivata per due fattori principali: l’incapacità di Podemos di mobilitare e la possibilità che alcuni potenziali elettori dei viola si siano spaventati per l’accostamento a una frangia politica che ancora si definisce «comunista». «C’è ancora paura del comunismo in questo paese», dice un militante mentre esce dalla sede. Nessuno però mette in dubbio l’alleanza: «Andremo avanti», dicono tutti convinti.

Diverso il clima nella «morada» di Podemos. Lo spazio, con un piccolo bar, una libreria, un piano sotterraneo per i concerti e uno superiore per le riunioni, è pieno di giovani. L’immagine è esemplificativa: sono tutti al computer. È la fotografia plastica dell’anima di Podemos. Qui i toni sono meno secchi, anche perché ancora i ragazzi di Podemos appaiono increduli. Nessuno azzarda un’analisi.

La maggior parte dei presenti nella «morada» ritiene che la «colpa» principale del «fracaso» elettorale sia stata la campagna di socialisti e popolari tesa a demonizzare Podemos, il suo leader e le sue connessioni «venezuelane».

Di sicuro questo atteggiamento di parte della base di Podemos rappresenta un lato di quello che Juan Carlos Monedero ha definito senza mezzi termini «infantilismo». Il co-fondatore è da tempo esterno al partito, ma ha un ruolo ugualmente rilevante e molto considerato.

Il giorno successivo alle elezioni ha prodotto sul suo blog e in un’intervista radiofonica, una prima riflessione sul voto. Monedero ha posto l’attenzione su tre questioni che indicherebbero l’«errore di gioventù» commesso dalla formazione di Iglesias: aver creduto troppo ai sondaggi, aver considerato un «fracaso» un dato che invece andrebbe considerato positivo, ovvero i 71 deputati e la reale apertura di uno spazio politico in Spagna, e infine non aver mai condiviso una posizione «con i deboli», concentrando la campagna elettorale solo nell’attacco del Pp e in discussioni poco incisive sulla vita reale dei potenziale elettori. Monedero ha sottolineato poi un altro aspetto: non si può pensare di vincere le elezioni, se non si è mai governato.

E a questo proposito ha ricordato le sconfitte di Gonzalez e di Rajoy.

Monedero non è l’unico «pezzo grosso» benché meno noto alla stampa mainstream ad essersi espresso. Nell’organizzazione metodica e secondo alcuni eccessiva di Podemos, ci sono anche responsabili di gruppi di lavoro dedicati a compiti specifici. Si tratta di persone che rivestono una grande rilevanza in Podemos.

Uno di questi è Jorge Moruno «responsable de argumentario y discurso». Significa che tutto quanto Podemos comunica e produce in fatto di documentazione, passa da lui. Sul suo blog ospitato da Publico, il quotidiano on line che di recente ha svelato lo scandalo del ministro dell’interno spagnolo, ha esaminato il voto indicando una strada ben precisa: il periodo che arriva vedrà Podemos all’opposizione e alle prese con importanti appuntamenti elettorali locali (in Galizia e Euskadi); questo richiede «uno spostamento verso una riforma globale del proprio modello organizzativo» che deve essere riorientato verso una maggior «democratizzazione e verso una maggiore pluralità».

Podemos, scrive Moruno, deve prestare maggiore attenzione «al lavoro molecolare e quotidiano», deve essere «meno visibile ma più solido, più empatico». Bisogna adattarsi: «farsi movimento popolare, perché è la strada che ora ci serve».