Il consumo, nella sua dimensione quantitativa, è un oggetto della ricerca storica da molto tempo. Se però dal «quanto» e dal «cosa» si consuma, ci spostiamo sulla frontiera del «come», del «perché» e delle rappresentazioni del consumo, ebbene, si può tranquillamente osservare che questi territori di analisi del passato si siano dischiusi solo recentemente allo sguardo dello storico italiano, specie quello dell’età contemporanea. In questa diversa prospettiva, che, a scanso di equivoci, dovrebbe essere complementare alla prima, la profondità e la finezza dell’indagine dello storico, è tanto maggiore quanto più egli riesce a essere contemporaneamente anche un po’ sociologo, antropologo, studioso dei linguaggi, rivelando, così, la configurazione prismatica del consumo e la sua intrinseca politicità.

Il libro di Marcello Anselmo (Il consumatore Realsocialista. Dispositivi, pratiche e immaginario del consumo di massa in Ddr, 1950-1989, Le Monnier, pp. 226, euro 17,50) è un buon esempio di questo approccio. Inoltre, merita di essere segnalato anche perché ambienta lo studio del consumo in un Paese dell’ex blocco socialista, solitamente appiattito sull’immagine della grande caserma ostile sic et simpliciter ai modelli culturali veicolati dal consumo di massa.

IL CONSUMATORE REALSOCIALISTA è suddiviso in cinque capitoli che coprono un arco cronologico di circa quarant’anni. Il primo, dopo un affresco sulla ricostruzione al termine della guerra, è incentrato sul ruolo chiave giocato dai traffici legali e illegali di merci tra Berlino Est e Ovest nella decisione di costruire il Muro nel 1961 e impostare una vera e propria politica pubblica del consumo. Il secondo capitolo racconta un evento del 1964 che sostanzia efficacemente l’atteggiamento delle istituzioni verso la gioventù e le loro domande di consumi culturali: il festival della gioventù del 1964 (Dt64). Il terzo è consacrato alla letteratura di intrattenimento a cui lo Stato dedica un riconoscimento specifico – e un relativo investimento – per contrastare i modelli culturali occidentali, specie nei comics. Il quarto capitolo, il più godibile e esemplare, approfondisce il canone letterario e cinematografico del western, un canone incandescente, poiché toccava uno degli architravi dell’immaginario occidentale: la colonizzazione delle terre, lo spostamento della «frontiera», la civilizzazione dei «selvaggi». Nel quinto capitolo, infine, Anselmo usa il «romanzo criminale» come sonda per cogliere i mutamenti della devianza sociale e della sua rappresentazione.

Il consumatore Realsocialista è un libro da cui emergono con nettezza alcune proposte interpretative sul caso di studio e, più in generale, sui significati del consumo. Se si guarda il cambiamento della società della Ddr dal «basso» dei comportamenti sociali attraverso la lente del consumo, si evidenzia uno scenario comparabile a quanto accade, grosso modo, contemporaneamente nelle società «occidentali», con uno scollamento temporale simile a quello esistente all’interno delle stesse aree dell’«Occidente». L’emersione di un soggetto sociale definito gioventù a cavallo tra anni cinquanta e sessanta con pratiche di consumo legali e illegali, che concorrono alla sua auto-identificazione, ne è una spia eloquente.

Se, viceversa, si ribalta lo sguardo, posando il focus sulle istituzioni, il libro documenta una consapevolezza non solo del dinamismo della società, ma anche e soprattutto della crucialità del consumo per la conquista del consenso e la competizione con il mondo capitalista. Per questa ragione, lo Stato modulò nel tempo interventi diversi, volti a offrire alternative alle merci occidentali e, specialmente, ai miti incorporati in alcuni consumi culturali: vere e proprie contro-narrazioni, come quella degli «indiani socialisti».

L’interazione tra le istituzioni, gli attori individuali e alcuni interlocutori intermedi, tra cui ad esempio le case editrici autorizzate a pubblicare, fu tutt’altro che unidirezionale. Fu un’interazione ricca di sfumature, porosità e negoziazioni, irriducibile all’alternativa tra ubbidire passivamente o sovvertire. Nello spazio di negoziazione che Anselmo mostra, trova posto anche il conflitto attorno ai comportamenti di consumo.

UN CONFLITTO che politicamente era difficile da esprimere, almeno in modo esplicito. Quei conflitti innescarono dinamiche articolate. Indussero, ad esempio, lo Stato a nuovi investimenti sul terreno del consumo per espandere la capacità inclusiva del socialismo e costruire il proprio immaginario, educando, al contempo, le masse: case, elettrodomestici, mezzi di trasporto, musica e letteratura, svago, abbigliamento. Tuttavia, la rapidità con cui la richiesta di consumo si è trasformata, insieme alle sue istanze negoziali, si è rivelata, alla fine, imprendibile per lo Stato. Lo scarto contribuirà a travolgerlo.