La situazione economica è drammatica. Lo Stato deve spendere. Deve spendere di più, finché riesce a indebitarsi con i mercati o con l’Europa. Per averlo già scritto, per ribadirlo, mi scuso con i lettori de il manifesto, fra i pochi quotidiani che ormai ospitino opinioni autonome, non preconcette, critiche.

Le previsioni degli organismi internazionali sul 2020 convergono su un crollo di circa 200 miliardi del Pil italiano, nella speranza che una seconda ondata pandemica non sopravvenga nei prossimi mesi.

E’ verosimile che il cedimento del primo semestre sia principalmente dovuto al blocco con saggia prontezza imposto dal governo Conte per proteggere i cittadini dal diffondersi dell’epidemia.

L’allentamento del blocco è stato già seguìto negli ultimi due mesi da un rimbalzo produttivo, con la pesante eccezione dei motoveicoli e di attività terziarie importanti (commercio, turismo, alberghi, servizi alla persona, ristorazione).

Nell’“Osservatorio Covid-19” (n. 10 del 7 luglio 2020) del Centro Europa Ricerche – a lungo guidato da Giorgio Ruffolo e la cui econometria è eccellente – Stefano Fantacone così cifra il rimbalzo dopo l’abisso di marzo-aprile: +44% i consumi elettrici, +37% le esportazioni extra-Ue, +25% le vendite al dettaglio, +30% e oltre la produzione industriale (+42% secondo l’ultimo dato Istat), il tutto unito al ritorno degli italiani a una normale mobilità.

In questo senso dal lato dell’offerta il ciclo ha svoltato, ha superato il punto di minima. Se la ripresa sarà a “V” e quanti trimestri occorreranno perché l’economia tutta ritrovi i – mediocri! – livelli del 2019 dipenderà dal sostegno pubblico alla domanda effettiva e quindi dalla ripresa della domanda.

Le aspettative incerte delle imprese, l’attesa dei soldi pubblici che la Confindustria pretende, la disoccupazione, le preoccupazioni delle famiglie, l’esigenza di liquidità limitano sia gli investimenti sia i consumi privati. Il risparmio in forma liquida è in aumento. Lo testimonia l’accelerazione dei depositi bancari in atto in tutta Europa sebbene la recessione metta a serio rischio la stabilità delle banche. Il risparmio frena la domanda non solo in via diretta, ma ancor più attraverso il calo del moltiplicatore attivabile dalle altre componenti della domanda: le esportazioni al netto delle importazioni, la spesa pubblica al netto del gettito fiscale.

Non si può contare molto sul commercio internazionale – dal Fmi previsto nel 2020 in calo del 12%, ben più del Pil mondiale (-4,9%) – anche perché la competitività delle merci italiane è modesta, per annoso difetto di accumulazione di capitale, innovazione, produttività. Quindi basilare è la spesa pubblica, come persino i tedeschi – “keynesiani” tardivi – pare abbiano alfine compreso. Ne hanno messa in campo, garanzie a parte, quasi il triplo dell’Italia in rapporto a un Pil la cui caduta è prevista in Germania pari quasi alla metà di quella italiana.

Tenuto conto del rimbalzo d’offerta, il Cer proietta una flessione del Pil italiano nell’intero anno del 7,2%: 130 miliardi di euro in meno rispetto ai 1788 miliardi del 2019. Se si muove da tale previsione è questo l’ordine di grandezza della domanda globale da suscitare. Siamo ormai a metà anno e i moltiplicatori sono bassi.

Lo sono in particolare – 0,5/0,7 – quelli della spesa corrente della PA (e della detassazione), sui quali si è di necessità puntato nell’immediato (ammortizzatori sociali, sussidi, trasferimenti, oltre a garanzie). Gli investimenti pubblici promettono moltiplicatori più alti – anche superiori a 2 – ma la loro pronta fattibilità si è scontrata con vari impedimenti: il colpevole ritardo governativo nel programmarli, i melmosi procedimenti amministrativi, i ritardi nel ricorso al MES, l’attesa di contributi europei a fondo perduto che non avranno tempi brevi.

Finora, nel primo semestre, il fabbisogno dello Stato è aumentato di circa 60 miliardi. E’ molto rispetto al passato, è poco rispetto al vuoto di domanda da colmare, in specie se si tiene conto dei bassi moltiplicatori delle uscite correnti, le sole cresciute sinora. Sarebbe ancor più inadeguato se la previsione del Cer si confermasse ottimistica e la caduta del prodotto fosse addirittura quasi doppia, come temono le autorità internazionali e la Banca d’Italia. L’esigenza di spendere sarebbe ancor maggiore, ben più urgente. Ciò è particolarmente vero per gli investimenti pubblici in valide infrastrutture, materiali e immateriali, segnatamente da rilanciare nel Mezzogiorno. Oltre a promuovere la ripresa sono essenziali per volgere la ripresa in una crescita di trend da oltre vent’anni latitante.

E’ fondamentale che il Governo, con la puntualità e la tempestività richieste dall’ora, renda conto ai cittadini – dentro e fuori dal Parlamento – dell’andamento della spesa pubblica, in assoluto e rispetto alla carenza di domanda che resta da colmare.

E’ davvero in gioco il benessere degli italiani.