Kamala Harris doveva essere la grande speranza del partito democratico, designata a diventare il primo presidente donna dopo avere sostituito Biden per il secondo mandato. Ma non tutto pare andare per i verso giusto.

Il suo tasso di popolarità è sotto il 30%, il suo peso politico diventa sempre meno rilevante; sembra in difficoltà nei compiti che le sono stati assegnati, in special modo quelli riguardanti i migranti, e per descrivere efficacemente lo stato del suo staff i media utilizzano l’aggettivo «disfunzionale». A dare ragione ai media nelle ultime due settimane sono arrivate le dimissioni di due assistenti chiave della vicepresidente: Ashley Etienne, direttore delle comunicazioni, e Symone Sanders, portavoce principale e consigliere senior.

Dopo l’uscita di Sanders sono iniziate a circolare voci anche sull’uscita imminente di Peter Velz, direttore dei rapporti con la stampa, e di Vince Evans, vice direttore dell’Ufficio per gli affari intergovernativi. La spiegazione ufficiale é che queste erano mosse pianificate da tempo ma arrivano dopo settimane di polemiche sulla presunta disfunzionalità dello staff della vicepresidente che, secondo alcuni media, sarebbe accusata dai consiglieri di Biden di non averlo sostenuto in un momento in cui la Casa Bianca viene attaccato da tutte le parti.

«È naturale che i dipendenti che hanno messo cuore e anima in un lavoro siano pronti a cambiare dopo alcuni anni», ha detto la segretaria stampa della Casa Bianca Jen Psaki a proposito dell’uscita di Sanders, ma questo non sembra il caso: i principali consiglieri di un vicepresidente non lasciano dopo meno di un anno; ancora meno giustificabile è l’uscita di due o più collaboratori.Una lunga inchiesta della Cnn ha intervistato una trentina tra ex e attuali collaboratori di Harris, e tra lo staff del presidente, rivelando così la disorganizzazione, i rapporti di lavoro difficili con i funzionari della Casa Bianca e una relazione personale non eccellente con il presidente.

Mentre la stella di Harris sembra tramontare, splende quella di Pete Buttigieg, anche lui ex candidato alle primarie democratiche presidenziali e sorpresa politica del 2020. Buttigieg è ora il Segretario per le infrastrutture, e con un’amministrazione che ha investito quasi tutta la sua credibilità nei piani di ricostruzione, controllerà un budget di 126 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni, attraverso programmi di sovvenzione che consentiranno all’agenzia di scegliere a quali progetti fare avere i finanziamenti. Questa è un’enorme spinta per una posizione di Gabinetto che storicamente concentra poco potere.

Se si continuerà su questi binari nel 2024 la figura di Buttigieg avrà un peso maggiore rispetto a quella ammaccata di una vicepresidente ai margini.