Davvero è «un angelo» sul nostro immaginario quello che se ne è andato ieri, nella Zurigo dove era nato quasi 78 anni fa, da padre operaio svizzero e madre italiana: Bruno Ganz. È stato l’attore europeo forse più grande che, con la faccia bella e intensa, ha traghettato diverse generazioni attraverso il secolo, immortalato per sempre nelle immagini che lo vedono volare sulla Sterne dorata al centro della capitale tedesca, due anni prima che cadesse il Muro. Un attore sobrio, ma di intensità smodata e quasi ipnotica che ha percorso palcoscenici e schermi e spesso anche la tv, lavorando con i maggiori registi d’Europa e d’America, e senza sottrarsi mai al senso civile di quanto interpretava, capace di essere addirittura il fuhrer al momento della fine (La caduta di Hirschbiegel, 2005) e a poca distanza apparire nel film sulla Raf di Baader e Meinhof.

Con la stessa misura e la stessa efficacia con cui ci riportava la tragedia classica e la filosofia greca, il neoumanesimo romantico di Goethe e la filigrana amara di Cechov e di Gorki. Teatro e cinema gli hanno offerto di cimentarsi con linguaggi diversi della comunicazione artistica, anche se ovviamente lo schermo gli ha dato una popolarità numericamente molto maggiore.

È GIÀ AVANTI nella sua storia teatrale, quando due film fondamentali degli anni ’70 rendono celebre Ganz: La marchesa von… di Eric Rohmer tratto da Kleist, e subito dopo L’amico americano di Wim Venders tratto da Patricia Highsmith. Due film importanti, in maniera diversa, per la generazione del ’68, che portano in immagini indimenticabili il passato e la contemporaneità, rimettendo al centro i rapporti e il privato delle persone. E la faccia è sempre la sua, pensosa e consapevole, una identità intelligente e sensibile che si offre all’identificazione nel confronto con le realtà più complesse.

DA ALLORA Bruno Ganz di film ne ha interpretato tanti, sempre con la sua recitazione intensa e diretta, offrendo a ciascun spettatore una sponda di identificazione nelle situazioni più diverse. Alcune indimenticabili, come i due film con Anghelopoulos, o Pane e tulipani di Soldini nelle rincorse con Licia Maglietta lungo le fondamenta veneziane (dove poi l’attore eleggerà un suo domicilio oltre a Zurigo e a Berlino). E ha lavorato con Demme e Coppola, con Jeanne Moreau regista (il primo ciak per lui, e anche per lei come regista), con Gillian Armstrong e con Ridley Scott (la serie tv sul Vaticano)fino all’ultimo Lars von Trier di prossima uscita in Italia.

E’ stato, oltre che Hitler, Lutero e il Papa, Tiziano Terzani e accanto a Dracula/Kinski nel Nosferatu di Herzog.
Un ventaglio di interpretazioni amplissimo come si vede, e spesso indimenticabili. D’altra parte attore era fondamentalmente Bruno Ganz, di alta classe e di lunga formazione. Aveva cominciato a far teatro negli anni ’60 nelle città tedesche, affermandosi a Monaco dove incontrò altri giovani destinati a diventare le stelle del teatro europeo.

Con loro all’inizio dei ’70 fu tra i fondatori della Schaubuhne di Berlino, che subito divenne un vertice della scena internazionale. Perché a fianco a lui c’erano Peter Stein regista, e attori come Edith Clever, Jutta Lampe, Otto Sander e Udo Samel. Con quella compagnia Ganz è stato uno storico Amleto, alternando poi i classici (dai greci a Gorki) con i testi che per loro scrivevano Peter Handke e Botho Strauss. È la storia del teatro del secondo novecento, interpretazioni e messinscene che hanno fatto epoca e scuola. Per molti anni Ganz ne è stato protagonista, non solo con Stein, ma con gli altri grandi della regia che vi si univano.

Primo tra tutti lo scomparso Klaus Michael Grüber, un genio per il quale l’attore fu protagonista di un mitico Winterreise all’Olympia Stadion, rincorrendo i miti di Hiperyon, come poi insieme faranno alla ricerca filosofale di Archimede, fin sul cratere del vulcano siciliano dove nei primi anni 80 girarono un indimenticabile (in tutti i sensi) Fermata Etna, produzione Rai che avrebbe ora un’ottima occasione per ritrasmetterlo.

CON PETER STEIN l’ultima fatica stellare (anche se, dopo, Ganz si è cimentato anche con Pinter, quale padre laido di Ritorno a casa). Proprio al cambio di secolo, in un teatro costruito espressamente per l’occasione e poi smontato, all’Expo di Hannover 2000, l’attore è stato Faust, in una megamaratona goethiana divisa in due parti, tredici ore la durata complessiva. Fu un altro trionfo, da entrare negli annali dello spettacolo. Con la sua aria quasi timida e quasi dimessa, con i suoi grandi occhi interrogativi, Bruno Ganz amava rischiare e volare molto alto. E non solo sopra Berlino, ma sulle emozioni che sapeva trasmettere e condividere con i suoi molti pubblici.