Alle 14.30 la delegazione di attivisti e migranti esce soddisfatta dopo l’incontro in municipio con il prefetto: «Abbiamo ribadito le nostre richieste, ovvero dare un tetto a queste persone e affermare la dignità di questa umanità già fin troppo umiliata e vessata» ci spiega Giuseppe Tiano, che insieme a Peppe Pugliese ha rappresentato il fronte antirazzista.

A 48 ore dalla morte di Becky Moses, ieri mattina, è stato il giorno della protesta e delle rivendicazioni. In 500 si sono incamminati lungo le strade assolate di san Ferdinando, dal luogo della tragedia fino alla piazza del Municipio. C’erano i migranti della baraccopoli andata a fuoco all’alba di sabato e c’erano i migranti della nuova tendopoli, gestita dalla Protezione civile. C’erano i ragazzi e le ragazze di Sos Rosarno e i sindacalisti di Usb. E c’era la memoria di Becky che aleggiava nel corteo. «Lavoro, case e dignità» era lo striscione di apertura seguito dai tanti cartelli vergati a mano con la foto della giovane nigeriana: «Schiavi mai», «Basta discriminazioni, residenza per tutti», «Le nostre vite più in alto dei vostri profitti».

VERSO MEZZOGIORNO una delegazione è entrata in municipio.«Abbiamo chiesto che sia data assistenza burocratica a chi ha perso i documenti nel rogo e che siano velocizzate le vecchie pratiche di permesso di soggiorno. E soprattutto abbiamo chiesto un censimento delle case sfitte di proprietà dei comuni della Piana di Gioia Tauro. Crediamo che abbiano recepito e siamo sicuri che un percorso virtuoso da oggi possa dirsi avviato», conclude Tiano.

In effetti, il cortocircuito tra emergenza abitativa, ritardo nei permessi e dinieghi di asilo politico ha portato a questo risultato fallimentare. Becky Moses, purtroppo, ne ha pagato tragicamente le conseguenze. Era giunta nella tendopoli di San Ferdinando solo da pochi giorni. La donna era inserita in precedenza nei progetti Sprar attivati nel comune di Riace. Era stato proprio il sindaco della cittadina jonica, Mimmo Lucano a spiegare il giorno dell’incendio che la 26enne nigeriana aveva dovuto abbandonare Riace in quanto le era stato rifiutato l’asilo politico. La donna aveva poi presentato ricorso, ma questa condizione non le consentiva, comunque, di poter rientrare nel programma Sprar.

BECKY non è stata la prima vittima a San Ferdinando. Prima di lei Sekine, morto per un colpo di pistola sparato da un pubblico ufficiale che dovrebbe essere capace di disarmare una persona che ha un coltello da cucina in mano senza sparagli addosso. Ancor prima c’erano stati i morti per il freddo. Come Dominic, morto assiderato perché non aveva trovato posto nella tendopoli, e Marcus che si ammalò di polmonite perché dormiva in una baracca abbandonata in mezzo alla campagna. Minimo comune denominatore: diritti e sicurezza sul lavoro presi a colpi di ascia e insensate politiche di sedicente accoglienza. «Sono anni che si spendono milioni per montare tendopoli per poi abbandonarle a sé stesse. E quando si montano le tendopoli, si fa il lavoro a tre quarti se non a metà, visto che molti erano stati costretti a vivere nelle baracche di plastica e cartone. Eppure i fatti di Rosarno dovrebbero aver insegnato qualcosa: evitare grossi insediamenti come le tendopoli, non fare sgomberi. Quanti morti bisogna ancora aspettare prima di avviare efficaci e razionali interventi di accoglienza?» rimarcano gli attivisti di Sos Rosarno. Primo passo: requisire le case sfitte e dare un tetto a questi uomini e queste donne. Perché i ghetti, nuovi e vecchi, non servono a niente.