Più di mezzo milione di persone è sceso ieri in piazza a Barcellona per protestare «per i diritti e per le libertà», come recitava lo striscione in testa alla manifestazione. Lo sciopero generale è stato convocato da due piccoli sindacati legati all’indipendentismo, Csc e Iac, ma è riuscito – come già accaduto in passato – a radunare una marea di persone, unite dall’indignazione per una sentenza sproporzionata e dalla frustrazione perché la politica non è stata in grado di trovare alcun modo per canalizzare l’aspirazione all’indipendenza che moltissimi catalani sentono. Un’aspirazione al cambiamento che oggi prende la forma, ancora una volta, del grido In- Inde- Independència, ma dietro alla quale c’è la voglia di molti di mettere in discussione lo status quo.

Tecnicamente la partecipazione allo sciopero è stata consistente, ma non massiccia: un po’ al di sotto del 50%, secondo i dati della stessa Generalitat, che appoggiava la protesta. Un risultato comunque straordinario per un piccolo sindacato. Durante tutta la giornata si sono susseguiti blocchi stradali, sia a Barcellona che in molte delle strade e autostrade della regione. Le sei cosiddette «marce per la libertà» (ieri se n’è aggiunta una nuova organizzata dai Cdr, i Comitati di difesa della repubblica; le altre le organizzavano le associazioni indipendentiste Òmnium e Anc), che hanno percorso a piedi la Catalogna per raggiungere la capitale catalana, sono arrivate in città durante la giornata per confluire nella grande manifestazione delle cinque del pomeriggio.

Decine di migliaia di persone in cammino da giorni hanno voluto con questo segnale pacifico rendere visibile il loro dissenso.

Gli studenti, il collettivo di gran lunga più attivo in tutta questa settimana di proteste, hanno manifestato anche ieri in giornata in 13mila per poi unirsi al corteo centrale. Anche il simbolo più conosciuto di Barcellona, la Sagrada Família, è stato vittima dello sciopero: a metà mattinata un gruppo di manifestanti si è accampato davanti al monumento, con il risultato che le visite sono state sospese per tutta la giornata.

Il clima è stato sereno durante tutte le due ore di durata dell’iniziativa, e a tratti la zona fra l’incrocio della Diagonal e la parte alta del centralissimo Passeig de Gràcia era così densa che era molto difficile muoversi. Un’enorme striscione con le facce di tutti i condannati e gli autoesiliati, i leader politici e sociali che avevano guidato il referendum di due anni fa, seguiva la testa della manifestazione. E varie composizioni di lettere giganti con la scritta «Freedom» o «Llibertat», in rigoroso giallo – il colore che indica la solidarietà con i prigionieri politici catalani – percorrevano vari punti del corteo.

«Ci giudicano tutti», «ora comanda il popolo», «armi di distruzione di massa», col disegno di un’urna, e anche qualche sporadica bandiera della pace in un mare di senyeres, le bandiere indipendentiste catalane: i messaggi sono sempre variopinti. Ma il più interessante è quello che riassume il sentire di molti: «Quando le manifestazioni le dirigevano le persone che avete messo in prigione erano pacifiche. Stupidi!». Già, perché immancabilmente, anche ieri, per il quinto giorno consecutivo, in un altro punto della città, in Via Laietana (dove ha sede la delegazione del governo spagnolo, cioè la procura) non sono mancati gli scontri violenti con la polizia.

Ma a parte questo la giornata è trascorsa in maniera così tranquilla che il governo spagnolo non ha avuto alcun alibi per inasprire la repressione con l’introduzione di leggi speciali. Anche se, proprio pochi minuti prima che iniziasse la manifestazione si è saputo che il ministero degli interni ha stretto la vite contro Tsunami Democràtic, bloccando la loro pagina web per sospetto «terrorismo».

Poi con il calare del sole, una parte della città ha ripreso il profilo dantesco a cui un gruppo di violenti ben organizzati ci ha abituati negli ultimi giorni.

Intanto, dal palco degli organizzatori della protesta risuonano le parole della presidente dell’Anc, Elisenda Paluzie, «Preparatevi a difendere e sostenere una dichiarazione di indipendenza», che riecheggiano la promessa che ha fatto giovedì il president catalano Quim Torra davanti a un parlament attonito: «Rimetteremo le urne, i catalani voteranno di nuovo la loro autodeterminazione». È chiaro che una delle anime indipendentiste vuole un nuovo scontro. Ma non è chiaro se invece l’altra anima, attualmente più pragmatica, quella che elettoralmente oggi è maggioritaria, cioè Esquerra republicana, glielo permetterà. A riassumere il sentire dei manifestanti è comunque Jordi Cuixart, presidente di Òmnium, che dal carcere ha mandato un messaggio: «La minaccia della repressione o della prigione non saranno mai un tappo per le aspirazioni democratiche della società catalana. Il popolo unito non sarà mai più oppresso!».