La campagna elettorale per le elezioni presidenziali in Cile si è chiusa giovedì 18 novembre. Sono sette i candidati che concorrono, nel voto di oggi, per sedere a La Moneda. Nessuno, secondo i vari sondaggi, arriverebbe al 50% più uno dei voti necessari per vincere al primo turno, il ballottaggio del 19 dicembre pare così inevitabile. La sinistra progressista di Apruebo Dignidad, con Gabriel Boric, e la destra pinochetista con Jose Antonio Kast sembrerebbero i due contendenti di punta. Astensione e dubbi dell’ultima ora rendono però l’esito elettorale assolutamente incerto.

SECONDO José Miguel Santa Cruz, analista politico, accademico ed editore della rivista Aurora del Nuevo Chile «La critica del “progetto Cile”, in questa fase neoliberista, non ha avuto solo un effetto sul dibattito, dato che sembra oramai moda parlare di un “Nuovo Cile” che si lascia alle spalle il neoliberismo più selvaggio per avanzare verso una sua versione moderata, ma ha anche affermato che questa struttura istituzionale è arroccata come una piattaforma petrolifera nell’oceano, che sebbene formi una sorta di unità paesaggistica, ha un rapporto con i mari che è pura esteriorità».

Per l’accademico il paese arriva a queste elezioni «con l’urgenza di ricostruire la legittimità istituzionale di una classe militare ed economica che non è mai stata espressione dei diversi territori che stanno all’interno dei confini della Repubblica. Questa necessità di ricomposizione politico-istituzionale fa parte dell’architettura necessaria per fornire stabilità e sicurezza giuridica alle grandi aziende nazionali e transnazionali così che possano ancora saccheggiare e sfruttare i territori, con tutte le specie, compresi gli esseri umani, che li abitano». Forse proprio per questo le stime più ottimistiche di voto parlano di un’affluenza tra il 48 ed il 52% ed in linea con quella registrata il giorno del voto per la conformazione dell’assemblea costituente chiamata a riscrivere la costituzione (43%). Nella precedente tornata, quella per l’elezione dei governatori locali, ha votato il 22% della popolazione.

I DUE FAVORITI, così come coloro che potrebbero andare al ballottaggio, non «rappresentano una rottura con il quadro istituzionale messo in discussione durante la rivolta sociale del 2019 (fatta forse eccezione per il candidato Eduardo Artés, del partito AP di simpatia stalinista). La continuità è marcata dal non mettere in discussione profondamente il carattere colonialista e capitalista della Repubblica del Cile nella sua fase neoliberista», dice ancora Santa Cruz.

Molti attivisti e attiviste della rivolta dell’ottobre 2019 hanno stretto contatti con partiti o si sono candidati all’assemblea costituente, anche alcune femministe. Valentina Bruna, giornalista e militante femminista, ricorda che «ci sono molti tipi di femminismo, in alcuni casi quello progressista si sta preoccupando di riempire le istituzioni. In queste elezioni ben si può vedere l’influenza del movimento femminista, soprattutto nelle aree della sinistra progressista e comunista comprese nel programma di Boric che prevede il riconoscimento del lavoro domestico di cura e si parla di salute sessuale e riproduttiva. Boric, per di più, promette di garantire l’aborto gratuito e universale, anche se non appoggia la campagna femminista per l’aborto sicuro, libero e gratuito» che amplierebbe il diritto all’Ivg non solo a chi a subito violenza, pericolo di vita per la donna e gravi malformazioni del feto.

RISPETTO al legame con il percorso dell’assemblea costituente, Santa Cruz aggiunge: «Appare coerente pensare che i risultati elettorali influenzeranno gli accordi all’interno della Convenzione. Se vincerà l’ala progressista, si stabilirà un clima che dovrebbe garantire un più ampio stato sociale di diritti. Mentre se a vincere sarà la destra, o il centro destra liberale, molto probabilmente la componente più conservatrice (se pure in minoranza dentro l’assemblea) potrà minimizzare le spinte delle sinistre durante la discussione e garantire un nuovo testo moderato e non lontano da quello vigente».