Meno decessi ma più contagiati, ma si tratta di piccole variazioni. I morti registrati in 24 ore sono 681 rispetto ai 766 del giorno precedente, e i nuovi casi positivi sono 4805, 220 più di venerdì sera. In totale, l’epidemia ha contagiato più di 12 mila persone e causato oltre 15 mila vittime.

L’apparente stabilità dei dati (il «plateau» di cui parlano gli esperti) non deve illudere che l’emergenza sia conclusa. Il virus continua a provocare nuove morti e infezioni. Ma si allarga a un ritmo costante e non più esponenziale.

PER LA VERITÀ, NEI DATI comunicati dalla Protezione Civile compare per la prima volta anche un piccolo segno «meno». Si tratta del numero di persone ricoverate in terapia intensiva, che per la prima volta diminuisce di 74 unità. Fortunatamente ben 55 dei posti letto liberati sono nella regione più sotto pressione, la Lombardia. Scende il fabbisogno di terapia intensiva anche in Friuli e in Veneto.

Aumenta invece in Puglia, dove ieri i malati gravi erano trenta in più del giorno precedente. Il commissario Domenico Arcuri ha rassicurato sulla disponibilità dei posti letto nelle terapie intensive: «sono diventati 9.284, cioè il 79% in più» rispetto ai 5300 di soli due mesi fa. Quelli nei reparti di pneumologia e malattie infettive sono addirittura quadruplicati.

Le foto delle vie di Milano di nuovo frequentate come in un normale weekend di bel tempo – sempre accuratamente selezionate in modo da massimizzare l’indignazione a comando – hanno fatto arrabbiare Beppe Sala, il sindaco di Milano: «Ho convocato il capo della polizia locale alle 9, chiedendogli più controlli, e la stessa richiesta l’ho fatta al prefetto» ha detto nel videomessaggio quotidiano.

L’IMPRESSIONE DEL SINDACO è confermata dal vicepresidente della Lombardia Fabrizio Sala (nessuna parentela) in un’intervista a SkyTg24, che ha fornito dati quantitativi sul livello della mobilità rispetto alla norma. «A ieri siamo al 38%, non avevamo un dato così alto dal 20 marzo», ha detto. «La mobilità questa settimana è salita più di due punti percentuali» che equivalgono a «decine di migliaia di persone». Il sindaco però era stato il primo a lanciare lo slogan #milanononsiferma.

I quotidiani dietrofront di sindaci e governatori non aiutano alla comunicazione nei confronti della cittadinanza. Alla chiarezza dei messaggi non aiuta l’accavallarsi tra direttive centrali che vanno in una direzione e ordinanze regionali nel senso opposto. Se si chiede al capo della Protezione Civile Borrelli come mai non porti la mascherina, la risposta è: «non la uso perchè rispetto le distanze», come ha detto durante la comunicazione del bollettino quotidiano.

Anche il presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli al suo fianco è sembrato dubbioso. «Sulle mascherine c’è grande dibattito nella comunità scientifica, non esistono grandi evidenze scientifiche», dice ai giornalisti.

E ALLORA LA LOMBARDIA va per conto suo come altre volte. Una nuova ordinanza regionale prevede l’obbligo di utilizzare «la mascherina o, in subordine, qualunque altro indumento a copertura di naso e bocca» quando si esce di casa. Va bene anche una sciarpa, visto che le mascherine non si trovano. L’ordinanza lombarda precisa che «in prossimità dell’abitazione» – la formula utilizzata dai decreti del governo per limitare gli spostamenti – deve essere inteso come «a distanza non superiore a 200 metri». Inoltre, alle attività permesse aggiunge quella dei fiorai. A quelle vietate, ma solo nel weekend, i negozi di elettronica, informatica e ferramenta.

IERI LA FEDERAZIONE Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche ha reso noto le cifre drammatiche dell’infezione tra gli infermieri. Quelli morti durante l’epidemia sono 25 e i contagiati sono arrivati a 5500, 1500 in più rispetto a sei giorni fa. Secondo il portavoce della federazione Tonino Aceti, corrisponde al 52% di tutti gli infermieri: «sono i professionisti che restano di più accanto al paziente, con turni anche di 12 ore ciascuno, che rendono molto più elevate le possibilità di contagio», dice il portavoce. «Nonostante la forte, cronica carenza di mascherine non solo legata alla pandemia, gli infermieri non hanno mai lasciato e non lasciano nessuno da solo».