«È un tentativo che facciamo qui e ora, quello di realizzare una forma di vita collettiva che si muove, guarda, respira in modo un po’ differente dall’abituale. Ci sono larghi tratti della giornata in cui 60 persone sono felici. E alcune di queste persone hanno delle diagnosi che giudicherebbero impossibile tutto ciò» afferma Marcello Fagiani quando arriviamo al «postO», lo spazio nel quartiere Casal Bertone a Roma dove la compagnia teatrale nontantoprecisi porta avanti le sue attività. «Tutto è iniziato al Santa Maria della Pietà, l’ex ospedale psichiatrico, quando nel 2006 è nato un laboratorio teatrale legato al Centro diurno della Asl. Nel 2012 il gruppo ha poi deciso di formare una compagnia e di uscire da quegli spazi» spiega Carmela Lavorato.

QUELLA dei nontantoprecisi è una traiettoria, a dispetto del nome, ben precisa. Rifiutano il concetto di teatroterapia, è piuttosto l’esercizio di una consapevolezza, in primis politica, ad ispirare il gruppo – sempre aperto per chi voglia osservare o prenderne parte -, l’essere un organismo collettivo è quindi un punto fondamentale. Come spiega il regista Nino Pizza: «Il nostro è un fare che si incorpora negli attori e nelle attrici. Il corpo non è un oggetto ma un processo, nel momento in cui si pone un modello lavoriamo al suo superamento. Non ci interessa creare un’isola felice, al contrario. Qui dentro si manifestano conflitti anche molto forti, ma riusciamo ad esprimere una gioia di agirli, di starci dentro, di portare critiche vive al mondo là fuori. Le nostre attività le abbiamo portate ovunque, a L’Aquila dopo il terremoto, nelle convention istituzionali, nelle piazze dei piccoli paesi».

La redazione consiglia:
Fabrizio Ferraro, rimettere in gioco il mondo nello spazio del cinema Aggiunge quindi Fagiani: «Da sempre per noi il teatro è un luogo e un tempo di critica ai processi di soggettivazione. Il corpo del lavoratore, dell’uomo, della donna, del paziente psichiatrico: con il teatro proviamo a mettere in crisi, o almeno in questione, il movimento percepito come “naturale” della produzione di queste corporeità. La psichiatria per noi è stato semplicemente un luogo privilegiato dal quale osservare il modo in cui questi corpi vengono strutturati, ad esempio attraverso la diagnosi, che “crea” il corpo dello schizofrenico, del bipolare e così via. Non pensiamo sia possibile vivere “nudi”, senza un’identità, ma quest’ultima può diventare mobile. Proviamo quindi a sottrarci a quei processi costruendo un corpo collettivo». Dimensione collettiva sempre più rara nel teatro indipendente degli ultimi anni, e forse per questo ancora più preziosa.L’arte è una malattia, ha bisogno della diversità, di ciò che deroga dal funzionamento organizzato, di alterare i meccanismi. Non può “mettere a posto”Le attività dei nontantoprecisi, comunque, non si limitano al teatro. La cooperativa Passpartout, di cui il gruppo fa parte, ha anche un’importante «divisione» cinematografica, la Boudu film di Fabrizio Ferraro. Tra le due realtà c’è un’unità d’intenti, un’osmosi che riguarda tanto alcuni grimaldelli estetici quanto un fare comune: più volte alcuni attori nontantoprecisi hanno recitato nei film di Ferraro, come Euplemio Macri nei panni di Walter Benjamin ne Gli indesiderati d’Europa. «Prima pensavo che il teatro e il cinema dovessero essere separati, ma ora ho cambiato radicalmente punto di vista, perché ho visto come l’immagine di Fabrizio sia estremamente transitoria, un incontro tra l’occhio e la proposta del regista che può sparire se non si ha uno sguardo disponibile, in un certo senso “diseducato” rispetto a tutto il cinema che abbiamo visto. Il nostro sforzo, proprio come il suo, è quello di tenere la nostra opera aperta» spiega Pizza. Aggiunge poi Fagiani: «Una volta alla settimana vediamo dei film che discutiamo tutti insieme, e ne scaturiscono dibattiti meravigliosi (quasi sempre il giovedì, le proiezioni sono aperte al pubblico, nda). Vediamo film che si potrebbero giudicare difficili, penso a quando abbiamo incontrato Jean-Marie Straub e Danièle Huillet. Anche quelli di Ferraro vengono giudicati film difficili, perché le persone pensano sempre di dover capire e non di fare un’esperienza estetica e corporea».

I NONTANTOPRECISI torneranno in scena il 22, 23 e 24 marzo al postO, in via Castelguidone 4, con QFWFQ – per farla finita con lo spettacolo. Un lavoro che incontra Le cosmicomiche: «Calvino, soprattutto nei suoi ultimi romanzi, ha attinto molto dalle teorie scientifiche. La sfida è quella di cogliere la poesia in questo linguaggio, infatti il protagonista QFWFQ praticamente non ha un nome, è uno strano verso. Il sottotitolo poi riecheggia Artaud e quello che proveremo a fare è non rappresentare nulla, ma fare a pezzi il linguaggio che ci abita, pur nulla contraddizione di parlarlo. Sarà quindi un’impresa, ma inevitabilmente fallimentare» afferma Pizza.

Per le ultime battute torniamo al concetto di teatroterapia, disconosciuto dal gruppo. «L’arte è una malattia – spiega Fagiani – l’arte ha bisogno della diversità, di ciò che deroga dal funzionamento organizzato, ha bisogno di alterare i meccanismi. Non può “mettere a posto”». Prosegue poi Pizza: «La scena per noi non è un mezzo per raggiungere altro. C’è lì un pezzo di vita che ci trasforma, ma non nell’idea strumentale della teatroterapia. La discriminante è il dolore: bisogna averne rispetto, e fare attenzione a non accrescerlo. Del resto non ci interessa, e non possiamo essere confusi con una branca della medicina».