Se n’è andato Stefano Bonilli, il suo sorriso accattivante e dubitativo come una sfida. Capace di sfottere e denunciare ogni ingiustizia. Non era bravo solo come cronista, ma anche come indagatore del nuovo. Stefano s’interrogava sui buoni alimenti e la loro produzione, convinto che fossero un pezzo di welfare che era negato alle persone. C’era ancora la scala mobile che recuperava il salario eroso dall’inflazione ma per alcuni «beni» ormai desueti. Che cosa c’era del resto, dietro la storia del pane così presente nelle storiche parole d’ordine del movimento operaio. Era nata a inizio decennio, per rispondere alla crisi del nostro giornale, la Cooperativa il Manifesto Anni ’80, per un azionariato popolare che assumesse la proprietà della testata. L’aveva voluta a tutti i costi Rossana Rossanda per tentare una sortita dalla crisi del giornale che stentava a fuoriuscire dalla stagione degli «Anni di piombo» e dalle ultime, dolorose, divisioni interne manifesto-Pdup. Fu una stagione preziosa che fece risalire vendite, credibilità e interlocutori. Nacquero iniziative che trovarono larga eco, poi autonome e alla fine indipendenti: la rivista Antigone sul nodo della giustizia e delle carceri, L’Indice (il primo mensile di sole recensioni), poi Nautilus in rapporto all’iniziativa anti-manicomiale di Franco Basaglia, poi l’Arancia blu e rieditammo I Giorni Cantati. E il Gambero rosso (con una fortuna particolare per le Guide dei vini), voluto, promosso, lanciato da Stefano che ne fu subito l’anima propulsiva e ideale. Dando poi vita con tanti altri tra cui Carlin Petrini a Slow Food. Sappiamo delle vicissitudini successive vissute e subite da Stefano Bonilli. Abbiamo sempre pensato che fosse un pezzo della nostra storia. Addio Stefano, un abbraccio alla compagna Marinella Viglione e a tutti quelli che gli hanno voluto giustamente bene dal collettivo del manifesto.