Nel video scorrono immagini che dovrebbero rappresentare il mondo 5mila anni fa; frame d’impatto, tecnica e qualità delle moderne fiction. Poi, scatto dopo scatto, si arriva ai giorni nostri, passando dai primi caratteri sulla carta, l’invenzione della stampa, fino all’uomo sulla Luna e si vira, infine, su un ufficio di giovani manager alle prese con tablet, schermi di pc e smartphone. Smanettano, condividono contenuti, inviano mail, chattano, usano le app. Gli sfondi, le funzioni, le modalità dei device sono diverse dai consueti «ambienti» di smartphone, tablet e pc cui siamo abituati. Il video rappresenta la pubblicità del guonei zizhu zhishi chanquan caozuo xitong, ovvero «il nuovo sistema operativo indipendente domestico» cinese. Si chiama «Cos», China Operating System: è il nuovo sistema operativa interamente made in China, che Pechino pensa di lanciare a ottobre.

Sulla nuova avventura tecnologica, preceduta da tentativi fallimentari (e da alcuni scandali in merito al furto di proprietà intellettuale, come nel caso del microchip Hanxin) c’è molta fiducia sul web, dove da tempo circolano articoli su blog e siti specialistici, che utilizzano però il termine «Cos» come acronimo di «Copy Operating System» (secondo la maggior parte degli esperti l’ambiente sarebbe uguale ad Android, con ben poche e ad oggi ancora nebulose novità).

Pochi credono che il «Cos» sia veramente originale, indipendente e ancora meno persone pensano che possa funzionare. Il rilascio del sistema operativo, ha scritto il governo cinese, «ha lo scopo di rompere il monopolio straniero nel campo dei sistemi operativi». Si tratta, ha fatto eco il Quotidiano del popolo, «della realizzazione del sogno cinese richiesto dal Presidente Xi Jinping nel campo dell’informatica».

Al di là del successo commerciale o meno, la decisione di Pechino segnala un percorso decisamente chiaro, intrapreso da tempo dalla dirigenza cinese: è giunto il momento in cui il mercato ad ora intasato da Google, Microsoft ed Apple, si prepari a nuove forme di competizione. La Cina non produce più solo i telefoni, gli smartphone, i computer utilizzando fabbriche disperse nelle sue zone industriali, sfruttando al massimo i lavoratori, senza forme di tutela e di sicurezza. Pechino ora vuole risalire la corrente della filiera e affermarsi dove inizia tutto: l’idea, la creazione, il design e soprattutto la «proprietà intellettuale». Solo così, pensano in Cina, il paese potrà gareggiare sui mercati mondiali e arrivare laddove i margini – in termine di profitto – sono ben superiori dei costi – bassi – che servono per porre il vetro sullo schermo dello smartphone, ideato e prodotto negli Usa.

«Cos» è un Frankestein informatico dei nostri tempi: è basato su Linux, ma ha il cuore a codice chiuso («per questioni di sicurezza», hanno spiegato i tecnici cinesi). È già pronto per pc, tablet e smartphone dal gennaio scorso, ma verrà lanciato solo il prossimo ottobre. Ci sono state nuove release e test continui. È opinione diffusa, tra gli specialisti, che la decisione di Pechino di lanciare un proprio sistema operativo sia stata accelerata dallo scandalo Nsa e dall’irrigidirsi dello scontro tecnologico e spionistico con gli Stati Uniti.

L’Accademia cinese delle Scienze ha definito il progetto «Cos», come «strategico per la sicurezza nazionale». La Cina – hanno scritto alcune riviste di settore – ha urgente bisogno di novità, dopo gli scandali della sorveglianza americana e le falle possibili nel sistema Windows, che secondo Pechino costituisce la «porta» con cui le spie americane hanno tentato di rubare i segreti cinesi.

Il «Cos» sarebbe stato sviluppato in modo completamente indipendente, secondo quanto affermato da Mingshu Li, direttore dell’Istituto del software presso l’Accademia cinese delle Scienze, che nel gennaio scorso aveva ammesso «la necessità di nuovi miglioramenti». Feili Chen, il vice direttore generale di Liantong Network Communications Technology, che ha realizzato il sistema operativo, ha specificato che i big tecnologici cinesi, China Mobile e China Telecom lo hanno testato per mesi. La realtà dice anche che non esistono notizie circa il costo complessivo dell’operazione, né tanto meno previsioni di guadagni e che non sono state rilasciate versione beta per il mercato consumer. Anche perché la Cina pensa di utilizzare «Cos» in primo luogo per i propri uffici pubblici. Non è un caso che nel maggio scorso Pechino abbia «bannato» dalla propria amministrazione l’utilizzo di Windows 8. Niente più sistema operativo americano sui computer governativi. Come scritto dal magazine online Zdnet, «le motivazioni del divieto sono risultate misteriose, senza alcuna spiegazione».

La Xinhua in realtà, aveva specificato che la decisione era arrivata a causa dell’indisponibilità di Microsoft di aggiornare – a costi contenuti – i sistemi cinesi che nella maggioranza dei casi utilizzano Windows Xp. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale, dunque, «il governo ha preso questa decisione per evitare l’imbarazzo di trovarsi di fronte a una situazione simile anche in futuro, nel caso si continui ad acquistare sistemi operativi stranieri». Una vicenda che ha spinto verso l’autarchia operativa, che arriverà a suo compimento con «Cos».

Di sicuro non è il primo tentativo, né sarà l’ultimo. Lo scorso gennaio un’azienda tecnologia cinese, sostenuta da fondi privati, aveva annunciato un nuovo sistema operativo per smartphone. La Coship Electronics aveva chiamato il proprio sistema, 960Os, definendolo il primo «sistema operativo domestico mobile». Nel 2011, il gigante Alibaba, non ancora leader mondiale dell’e-commerce come oggi, aveva rilasciato rilasciato Aliyun Os, un sistema operativo basato su Android per cellulari. Tentarono di sfidare Google, ma nonostante la crescita della società di Jack Ma, la sua creazione non ha funzionato. Android è ancora leader del mercato, tallonato a questo punto da «Cos», il sogno cinese che si fa «sistema operativo».