Un affresco splatter che mostra la fase finale di un combattimento tra gladiatori è la nuova «spettacolare» scoperta effettuata a Pompei nell’ambito dei lavori di messa in sicurezza che coinvolgono i fronti di scavo della Regio V. Il rinvenimento è stato presentato in esclusiva sul Venerdì di Repubblica dell’11 ottobre da Massimo Osanna, alla guida del Parco archeologico di Pompei dal 4 gennaio 2016 e riconfermato nel maggio scorso da Alberto Bonisoli (dal 2014 Osanna aveva ricoperto l’incarico di Soprintendente speciale delle aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Stabia). Non sfugge che la data scelta per presentare l’ultimo «trofeo» del Grande progetto Pompei coincida con l’apertura al pubblico della mostra Pompei e Santorini. L’eternità in un giorno, fino al 6 gennaio alle Scuderie del Quirinale, curata dallo stesso Osanna con il direttore dell’Eforia delle Antichità delle Cicladi Demetrios Athanasoulis.

AMPLIFICATA dall’evento romano, la notizia ha fatto rapidamente il giro del mondo e le foto del dipinto, compresa quella ormai rituale del direttore del parco archeologico in posa dinnanzi all’opera d’arte, impazza su media e piattaforme social. L’affresco, perfettamente conservato e dall’inconsueta forma trapezoidale (1,12 mt x 1,5 mt), adornava il modesto sottoscala di un ambiente solo parzialmente riportato alla luce e ubicato nei pressi dello slargo tra il vicolo dei Balconi e il vicolo delle Nozze d’Argento.
Uno sfondo bianco incorniciato da una banda rossa ospita la scena di combattimento: il gladiatore in posizione stante che impugna il gladio è un Mirmillone appartenente alla categoria degli Scutati, mentre l’altro – rappresentato nell’atto di soccombere all’attacco, con lo scudo a terra – è un Trace della corporazione dei Parmularii.
Secondo quanto dichiarato da Osanna, l’edificio deve essere identificato con un thermopolium (luogo di ristorazione rapida) o con una vera e propria taberna frequentata da gladiatori. D’altra parte, precisa l’archeologo e docente dell’Università Federico II di Napoli, a poca distanza si trova la caserma utilizzata dai lottatori per gli allenamenti, la quale ha restituito centoventi iscrizioni a tema gladiatorio.

La particolarità dell’affresco risiederebbe non solo nell’originale raffigurazione (certo non l’unica a Pompei) ma anche nell’iperrealismo dei dettagli, come il sangue che zampilla dal polso e dal petto del gladiatore vinto imbrattandogli gli schinieri. L’attenzione viene richiamata anche sull’indice alzato dal Trace, un gesto noto nel repertorio iconografico del mondo anfiteatrale, che Osanna liquida tuttavia come «un tocco di umorismo» da parte dell’artista, il quale avrebbe ammiccato a più solenni atti imperiali.

Malgrado la scoperta sia stata rivelata tramite una strategia comunicativa che mira al sensazionalismo – si pensi al clamore suscitato dagli affreschi raffiguranti Leda e il Cigno o Arianna abbandonata a Nasso da Teseo riemersi tra agosto e novembre del 2018 o al recupero recente di uno scrigno colmo di monili e amuleti nella Casa del Giardino – la squadra che ha dissotterrato il dipinto lo considera di rozza fattura. A questo imbarazzante giudizio fa eco una stampa che si crogiola nella spettacolarizzazione dell’archeologia e contribuisce ad alimentarla.

Leda e il cigno, Pompei

UN’ABITUDINE studiata a tavolino, che facendo leva sull’eccezionalità di reperti e monumenti, cancella i progressi effettuati dalla disciplina archeologica dalla seconda metà del XX secolo in poi, riportandola al tempo in cui antiquari e appassionati andavano a caccia di «tesori». Pratica categoricamente negata da Osanna ma che di fatto si riflette nella macchina commerciale, ludica e politica della «sua» Pompei, non più oppressa da crolli e scioperi degli addetti alla sorveglianza ma terreno fertilissimo da cui raccogliere, secondo un preciso calendario di opportunità, i frutti di un generoso passato. Lo stupore e l’emozionalità instillate nel pubblico attraverso la propaganda trionfale e a tratti melodrammatica dei risultati del Grande Progetto Pompei – concepito per la tutela e la valorizzazione dell’area archeologica e finanziato dall’Unione Europea per un importo complessivo di 105 milioni di euro – pone in secondo piano le acquisizioni della scienza, senza le quali non è possibile comprendere e ricostruire con il dovuto rigore la storia delle città vesuviane.
Il fascino esercitato dall’infausto destino di Pompei, seppellita con Ercolano, Stabia e Oplontis dall’eruzione vulcanica del 79 d.C., e la compassione provata per i corpi «imprigionati» negli strati di lapillo non deve condurre a una sorta di voyeurismo fine a se stesso. Emblematico, a questo proposito, il caso dello scheletro del «fuggiasco» ritrovato nel maggio del 2018 a ridosso di un imponente masso e le cui immagini scenografiche sono state date in pasto alla stampa quando lo scavo era ancora in corso.
Nell’immediato si parlò di morte per schiacciamento di un individuo di oltre trent’anni, probabilmente claudicante. Il prosieguo delle indagini permise di recuperare anche il cranio del defunto e di ipotizzare una morte per soffocamento sulla base dell’apertura della mandibola (teoria tuttavia contestata da alcuni antropologi). Una saga noir ricca di colpi di scena, insomma, che mal si concilia però con i tempi di «maturazione» dello studio dei contesti archeologici da parte degli specialisti.

ECCESSIVA ENFASI venne data anche al rinvenimento, esattamente un anno fa, di un’iscrizione a carboncino, suscettibile di spostare la data dell’eruzione dall’estate all’autunno del 79 d.C.: «Il 17 ottobre lui indulse al cibo in modo smodato» è la traduzione della scritta proposta dall’archeologo ed esperto di graffiti Antonio Varone, la quale – se corretta e nonostante la mancata menzione dell’anno – andrebbe ad arricchire e non a risolvere un intenso dibattito iniziato alla fine del Settecento e che chiama in causa sia le fonti letterarie (prima fra tutte, la nota epistola di Plinio il Giovane) e un vasto elenco di resti carbonizzati quali frutti, piante e tessuti.
La chiusura «col botto» del Grande Progetto Pompei (avviato nel 2012) lascia un sito fragilizzato, che se da una parte si conferma riserva privilegiata di dati per gli studiosi, dall’altra viene venduto quale attrazione turistica al pari di un luna park, dove in futuro si potrà acquistare una bottiglietta piena di lapilli, degno souvenir della più redditizia catastrofe dell’antichità.