Settantamila gallesi impazziti di gioia cantano, ruggiscono, fanno rimbombare il Millennium Stadium, il cui tetto è rimasto aperto per tutta la partita nonostante la pioggia battente. Nei pub di Cardiff ci si prepara a una notte brava e agli straordinari. Il Sei Nazioni 2019 è del Galles che conquista tutto: il torneo e la Triple Crown – il trofeo che viene assegnato alla squadra delle isole britanniche che batte le altre home unions. E realizza il grande slam, il terzo sotto la gestione di Warren Gatland, l’allenatore più vincente del mondo che dopo la Coppa del mondo d’autunno lascerà il suo incarico. Il coach neozelandese ha guidato la nazionale gallese per più di dieci anni, è stato per due volte coach dei British e Irish Lions (un tour vinto in Australia, uno pareggiato in Nuova Zelanda, anche questo un record), ha lasciato un segno indelebile nella storia del rugby. La sfida con l’Irlanda era delicatissima. I dragoni non avevano altra alternativa alla vittoria: una sconfitta o un pareggio avrebbero significato perdere tutto e lasciare il titolo nelle mani degli odiati inglesi: un evento catastrofico, inammissibile per qualunque gallese. Il match è stato preparato in ogni dettaglio e i piani di gioco applicati alla perfezione. Il Galles non solo ha vinto 25-7 ma ha espresso un dominio assoluto in ogni fase di gioco e in ogni momento della partita: disciplinato, compatto in difesa, cinico nel capitalizzare ogni occasione per fare punti. Ha segnato la sua unica meta dopo appena due minuti di gioco (Hadleigh Parkes), poi ha controllato il match e imposto la sua legge. Di fronte a tanta solidità l’Irlanda ha perso la bussola e si è fatta fallosa. Gareth Anscombe, l’apertura dei dragoni, ha potuto così infierire dalla piazzola realizzando ben sei calci piazzati. 16-0 all’intervallo, 25-0 allo scadere, con gli irlandesi che per ottanta minuti non sono riusciti a segnare nemmeno un punto e soltanto nel recupero hanno messo a segno la meta di consolazione (Larmour).

L’ITALIA, che nel primissimo pomeriggio aveva inaugurato il trittico dell’ultima giornata del torneo, è uscita sconfitta (25-14) anche dalla sfida con la Francia allo stadio Olimpico. Ventiduesima sconfitta consecutiva nel Sei Nazioni e quarto whitewash dopo quelli del 2016, 2017 e 2018. Se ciò che conta sono i risultati sul campo, mai gli azzurri sono andati così male. Nonostante il gran lavoro svolto da Conor O’Shea, il gap tecnico che separa il nostro rugby da quello delle grandi nazioni rimane incolmabile, anzi: sembra ampliarsi.Era una partita che l’Italia poteva e doveva vincere. Una grande occasione da cogliere. Mai vista una Francia peggiore di quella scesa in campo a Roma: confusa, imprecisa, fallosa, priva di un convincente impianto di gioco. Letteralmente inguardabile. Il XV de France ha trascorso l’intera partita nei suoi ventidue metri, assediato dagli azzurri. Ha però saputo difendere l’ultima trincea e limitare i danni. Ha avuto due occasioni per andare in meta e lo ha fatto (Dupont al 16’ e Huget al 46’). La squadra francese si è trovata con un uomo in meno negli ultimi dieci minuti del match (giallo al tallonatore Camille Chat) e ne uscita indenne, trovando modo di arrotondare il punteggio con Penaud (78’) e sigillare il risultato. Dall’altra parte c’era un squadra azzurra poco pratica, incapace di concretizzare il proprio dominio, sostanzialmente impotente. E sfortunata, certo: il calcetto basso di Allan che lanciava Zanon verso la meta rimbalzava conto la base del palo cogliendo di sorpresa il giovane centro. Era il 22’ e l’Italia si sarebbe trovata avanti 13-10. Ma pesano soprattutto gli errori, le scelte sbagliate, la mancanza di lucidità, la poca cura di dettagli che non andrebbero mai trascurati. Gli errori fatali di Tommaso Allan dalla piazzola quando bisognava restare attaccati ai francesi nel punteggio. L’avere insistito nel cercare la meta a tutti i costi anziché calciare tra i pali le molte punizioni concesse dalla difesa dei bleus. O i dieci penaltouche (le rimesse laterali a ridosso della linea di meta francese) giocati senza riuscire a segnare. Tanti episodi che hanno rosicchiato certezze e accumulato frustrazione. Poco importa se la meta di Tebaldi al 53’ aveva portato gli azzurri sul 14-17, a un incollatura dagli avversari: quando bisognava piazzare la zampata decisiva, quella del possibile k.o, la forza e la competenza per farlo sono mancate.

IL CAMMINO dell’Italia verso la coppa del mondo di autunno si annuncia complicato. Il sorteggio ha collocato gli azzurri in un girone che comprende Nuova Zelanda, Sudafrica, Canada e Namibia. Ogni discorso circa una possibile qualificazione al secondo turno è destituito di fondamento: un terzo posto nel girone è tutto ciò a cui possiamo ambire. Tra luglio agosto ci saranno quattro test di preparazione con Irlanda, Russia, Francia e Inghilterra. Forse un po’ troppo per una squadra che non può permettersi il lusso di perdere pezzi per strada. Auguri.