Il Rapporto di Sue Gray deve essere bruttarello assai, anche peggio: da politico a penale. Lo sa bene Boris Johnson, da settimane ormai appeso all’indagine che la succitata senior funzionaria civile deve pubblicare a momenti sulle festicciole (circa nove?) tenute a Dowing Street durante i periodi di lockdown (imposti senza un voto parlamentare dalla stessa Dowing Street) per festeggiare varie ricorrenze: compleanni, promozioni, forse anche addii al celibato. Senza però averlo ancora fatto dopo che se n’era data per imminente la pubblicazione ieri e ieri l’altro; una pubblicazione che accerterà quasi certamente la presenza di Johnson a dette festicciole e che l’opposizione vorrebbe integrale, non mondata cioè dagli omissis sui nomi della vergogna, come chiesto a gran voce dal leader laburista Keir Starmer seguito da Libdem e nazionalisti scozzesi del Snp.

Ma che non avrà luogo – si apprende ora – che la settimana prossima. Perché nel frattempo è entrata in azione la polizia, che inizialmente aveva rispettosamente fatto un passo indietro, lasciando che fosse Gray e Gray sola a stabilire come sarebbero andati effettivamente i fatti: soprattutto se, dove e quando Johnson era presente e quanto a lungo. Il tutto sebbene la funzionaria indagasse in contatto costante con Scotland Yard: e se ora la polizia è coinvolta in prima persona, si tratta inequivocabilmente di reato. Ferale nuova, che l’ex baldanzoso conquistatore di consensi già conosceva, come il resto del paese. Ma ora anche penale: ognuna di quelle circostanze violava le direttive del governo sul distanziamento sociale, rendendo Johnson passibile di multa pecuniaria. Difficile non speculare come, in questo polpettone penal-politico, Gray e polizia sembrino avvicendarsi a ritardare lo scrutinio parlamentare del rapporto: ora che la polizia è ufficialmente coinvolta, puntualmente Gray ne tarda la pubblicazione, dando a Johnson il tempo di approfittare della soglia di attenzione di un’opinione pubblica che dura poco più di un video su TikTok.

Certo, l’accusa penale a un leader politico nel puritano sistema inglese sarebbe politicamente insostenibile e andrebbe a ingrossare il già sembrerebbe cospicuo drappello di deputati conservatori che hanno mandato la letterina di sfiducia nel premier a Graham Brady, il segretario del 1922 Committee, l’organo Tory di elezione del leader. Di letterine ne servono 54, ma il voto è segreto e una volta raggiunto e attivata la sfiducia si dovrebbe tenere uno scrutinio sul nuovo leader, che Johnson potrebbe rivincere tranquillamente.

Sì, perché da giorni, dopo la pubblica ammenda e contrizione, il premier è impegnato in un’operazione capillare di riconquista del sostegno perduto tra i parlamentari “idealisti” o quelli che hanno miracolosamente strappato il seggio ai laburisti nel cosiddetto muro rosso del nord alle politiche del 2019, e che sono imbufaliti alla prospettiva di perderlo anzitempo. La spaccia come una macchinazione a orologeria volta a rovesciarlo. Sa che può cavarsela con una strage di capri espiatori nel suo staff e l’ennesima promessa di fare il bravo in futuro. In fondo, il sogno erotico nel quale vivono i Tories da due anni è merito suo, e i “realisti” ne sono ben consapevoli. L’emergere di altre chicche, come quella dell’aiuto all’evacuazione, nel terrificante caos della caduta di Kabul quest’estate, degli animali abbandonati della charity di un amico (maschio, bianco e giudaico-cristiano) suo e dell’animalista sua moglie mentre degli “alleati” (musulmani) si aggrappavano disperati ai carrelli degli aerei in decollo (un “prima i cani” che rivaleggia in maramalderia con il cut and run imperiale, il frettoloso e disastroso abbandono inglese dell’India nel 1947), sembra destinato a ricevere l’ennesima scrollata di spalle. Lui, inesoralmente, nega.