È il giorno in cui la legge di bilancio fissa ufficialmente il suo iter parlamentare, dalla commissione Bilancio del Senato. La maggioranza è intenzionata a passare per le vie brevi: tempi blindati e nessun emendamento.

Le opposizioni son alla ricerca della strategia più incisiva possibile, col Partito democratico che propone un coordinamento delle forze di minoranza. Il capogruppo dem a Palazzo Madama Francesco Boccia individua un nesso preoccupante tra la considerazione che la destra ha del parlamento e del suo ruolo e i cinque articoli sul premierato che venerdì andranno in Consiglio dei ministri: «La nostra è ancora una Repubblica parlamentare – dice Boccia – Se queste sono le prove generali della riforma costituzionale siamo di fronte davvero a un pessimo segnale. Insistiamo e speriamo che la maggioranza accetti un confronto parlamentare e speriamo che prendano atto che ci sono temi pesantemente sottovalutati».

ELLY SCHLEIN intanto incontra nel quartiere romano di Testaccio Roberto Gualtieri, per discutere della manifestazione dell’11 novembre indetta dal Pd. «La riforma proposta dal governo è un pasticcio che affossa la forma parlamentare e che indebolisce il presidente della Repubblica – spiega la segretaria del Pd – Se dopo un anno, con numeri così solidi, non arrivano le risposte sul terreno economico-sociale non è colpa della Costituzione ma di questo governo».

Il sindaco di Roma raccoglie l’allarme: «Stanno facendo una scelta istituzionale antidemocratica che forse non è stata compresa fino al fondo nella sua gravità: io sento parlare di premierato, ma non c’entra niente: questa è un’altra scelta». Gualtieri sottolinea che l’elezione diretta del premier «non esiste in nessun paese al mondo».

UNO DEI NODI sta proprio il bilanciamento dei poteri tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Che ne pensa Mattarella? Dal Colle trapela che il presidente non esprime giudizi di carattere tecnico o politico proprio su una riforma che tocca i suoi poteri. Tradotto: anche se ci sono state interlocuzioni informali prima dell’arrivo del testo in Consiglio dei ministri, ciò non implica che Mattarella abbia dato il suo nulla osta.

Uno dei nodi più controversi sta nel fatto di «costituzionalizzare» la materia elettorale: una legge ordinaria apposita ne disciplinerà il funzionamento ma si inserisce nella Carta che le liste collegate al presidente del consiglio eletto ricevano un premio di maggioranza del 55% su base nazionale.

In linea teorica, ma neanche tanto, con un consenso del 20% dei voti si potrebbe arrivare alla maggioranza assoluta, il che ricorda però l’argomento che spinse la Corte costituzionale a bocciare il cosiddetto «Porcellum». Ciò fa il paio con il divieto di costituire maggioranze alternative in Parlamento, blindando quella uscita vincente alle urne.

Da fonti della maggioranza si apprende che da qui a venerdì potrebbe essere modificata la norma che impone che l’unica possibilità per evitare lo scioglimento delle camere sia che successore del premier eletto oltre a dover restare nel perimetro della coalizione vincente provenga dalle sue fila. È uno degli elementi che imbriglia i poteri di incarico del presidente della Repubblica e che ne limita fortemente le scelte sulla decisione di tornare alle urne.

SENZA MAGGIORANZA qualificata dei due terzi, dunque 266 deputati e 133 senatori, si andrà incontro al referendum confermativo. La maggioranza conta su 237 deputati e 115 senatori e l’appoggio annunciato da Italia Viva non basterebbe. Il Pd promette un «muro». Per Carlo Calenda «l’illusione che si vuole dare è che ‘i cittadini conteranno di più’. Ma non sarà così».

Secondo Giuseppe Conte siamo di fronte a un «accrocco». Per Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione e Giovanni Russo Spena, responsabile democrazia e istituzioni del partito siamo alla «secessione dalla Repubblica parlamentare». Commenta invece presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo: «Registro che con questa proposta di premierato salta in aria la divisione dei poteri rigorosamente disegnata dai costituenti».