Un dipinto del pittore neoclassico Johann Erdmann Hummel raffigura una scena di società in una locanda romana agli inizi dell’Ottocento, che ha ispirato uno dei tanti racconti musicali di E.T.A. Hoffmann, Die Fermate (La cadenza). Sotto un ombroso pergolato, due giovani musiciste elegantemente abbigliate in stile impero, tengono un concerto attorno a un tavolino poggiato sul resto di un’antica colonna. Una suona la chitarra e l’altra canta rapita, con gli occhi rivolti al cielo, nel momento più intenso del gorgheggio. Tra loro, un abate con il bastone da direttore in mano, tiene sospeso il tempo nel momento culminante della cadenza, pronto a cogliere il momento in cui rilasciare l’accordo liberatorio. Hummel, vissuto a Roma tra il 1792 e il 1799, ha tradotto in linguaggio pittorico uno dei segni musicali più ambigui e polisemici, il punto coronato.

Il nome stesso è un rebus: i più importanti dizionari musicali internazionali, infatti, spaziano da pausa, fermata, Fermate, point d’orgue, calderón, Orgelpunkt. Il punto sormontato da un semicerchio, le cui origini grafiche si perdono nelle nebbie del Medioevo, indica al musicista la necessità di fermare il suono, oppure di tenere una nota o un accordo tanto a lungo quanto serve alla voce principale per improvvisare liberamente al di fuori della struttura ritmica del pezzo.

Una curvatura dello spazio
Sembra una contraddizione (e in un certo senso lo è, o suoni o taci), ma in realtà è il frutto della medesima urgenza: interrompere, almeno in parte, l’inesorabile direzionalità del flusso musicale. Il punto coronato raffigura l’utopia anarchica di sospendere, visto che è impossibile abolirla, la legge di gravitazione universale del tempo musicale. È una curvatura dello spazio, che aggiunge la dimensione del tempo alle tre percepite nella nostra realtà fisica. L’intervento del punto coronato, infatti, è la spia di una faglia emotiva, di una pressione psichica sul punto di esplodere. Per questo la fermata genera ansia nei musicisti, come nel quadro di Hummel; ansia che induce il protagonista del racconto di Hoffmann a sbagliare l’attimo della risoluzione, con catastrofiche conseguenze sul suo rapporto con la cantante Lauretta.

Dietro il punto coronato si nasconde un’intermittenza del cuore, uno straniamento, una manifestazione del perturbante. Non a caso i couplet di Les oiseaux dans la charmille, cantati da Olympia nei Contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach, sono infarciti di point d’orgue sui trilli della bambola meccanica di Spallanzani. La letteratura romantica aveva intuito il potere dell’inconscio un secolo prima della sua formulazione teorica. Il segno di questa inquietudine si rintraccia, fra l’altro, nel pianoforte di Beethoven, che nel 1816, quasi in contemporanea con il quadro di Hummel, scrive la Sonata in la maggiore op. 101, estremo tentativo di salvare con la forza di volontà la forma sonata, alla quale forse .non credeva più.

Il primo movimento si apre con un tema trasognato e introspettivo, mit der innigsten Empfindung (con il più intimo sentimento), che s’interrompe con una cadenza d’inganno su una corona, prima di riprendere il tempo e concludere la frase: primo segno di smarrimento in un movimento che sembra prendere la forma di un flusso di coscienza. Dopo uno scherzo in forma di marcia, un adagio lirico ed espressivo, Langsam und sehnsuchtvoll, precede la complessa struttura finale, caratterizzata da una fuga a quattro voci. In tutta quest’ultima parte, il punto coronato acquista il valore strutturale di una sintesi emotiva. Al termine del Langsam in la minore, infatti, una fermata sull’accordo di dominante introduce una cadenza di stile teatrale che porta a una reminiscenza dell’inizio della Sonata. Questa volta, però, una serie di punti coronati rende il tema del tutto frammentario e onirico, proiettando il pianoforte di Beethoven verso la disperata ricerca del canto consolatorio delle ultime Sonate.

Nel teatro di Mozart
Il potenziale eversivo del punto coronato era ben evidente ai musicisti del periodo classico, figli dell’Illuminismo, tanto che diversi trattati dell’epoca cercano di codificare delle regole per mitigare gli effetti disgreganti della fermata. Nella Klavierschule di Daniel Gottlob Türk si elencano con precisione le regole auree per gestire la fermata: allargare il tempo prima, conservare negli abbellimenti il carattere del pezzo, rimanere nell’armonia dell’accordo tenuto, non allungare troppo la durata della cadenza. Nel teatro di Mozart si trovano esempi destabilizzanti dell’uso drammaturgico del punto coronato. Nel duetto di Fiordiligi e Ferrando «Fra gli amplessi», nel secondo atto di Così fan tutte, dietro le corone sparse nella partitura si sviluppa il dramma interiore della protagonista. Fiordiligi ha respinto i primi assalti amorosi di Ferrando, travestito da nobile albanese, ma teme che il suo cuore non sia abbastanza saldo. Progetta il disegno disperato di vestirsi da ufficiale e di raggiungere il fidanzato sul campo di battaglia, ignara della trama ordita alle spalle sue e della sorella Dorabella da Don Alfonso e dai rispettivi amanti. Lorenzo da Ponte qui aggiunge un tocco di genio, perché fa dire a Fiordiligi che a lei andrà bene l’abito di Ferrando, ossia del fidanzato «sbagliato».

Il duetto inizia con un recitativo accompagnato nel quale Fiordiligi, con nobile enfasi, dichiara di voler raggiungere il fido sposo Guglielmo vestita da uomo (ma nell’abito di Ferrando). Qui Mozart introduce una pausa con corona, una cesura che sottintende uno scarto d’umore. Come la musica slitta da un passo lento e solenne a un accompagnamento nervoso e sincopato, così l’eroismo di cartapesta si trasforma in un’attesa troppo ansiosa di ritrovare la pace tra le braccia del fidanzato lontano. Ferrando, frustrato dal cedimento di Dorabella all’amico Guglielmo, irrompe sulla scena e tenta il tutto per tutto. Altra fermata, altro cambio di paradigma. Fiordiligi si sente tradita e implora lo spasimante di andarsene, mentre l’orchestra, tutta dalla parte di Ferrando, incalza la ragazza ormai sul punto di cedere. L’agitazione drammatica di prima lascia il posto a una schermaglia amorosa più lieve, e la musica di Mozart rivela, senza ombra di dubbio, qual è la vera anima gemella della ragazza. Fiordiligi si lascia baciare la mano, e s’inerpica su un’estrema implorazione, Dei, consiglio!

È il punto culminante della crisi, segnato dalla fermata dell’orchestra sull’accordo dissonante e dalla successiva lunga pausa con corona. Quel silenzio non è un vuoto, bensì lo spazio interiore necessario per accettare l’agnizione dell’autentico sentimento d’amore, che la rappresentazione sociale delle due coppie ufficiali vorrebbe negare. Al termine della lunga corona, infatti, si apre un dolcissimo Larghetto in la maggiore, nel quale Ferrando accoglie tra le braccia l’anima di Fiordiligi, ancora tremante ma ormai vinta.
La rottura del continuum musicale si giustifica solo in una prospettiva poetica e retorica. A teatro, la forza dell’interprete si moltiplica, rubacchiando spazio all’autore. Il punto coronato, nel calore dell’azione, non è calcolabile nella forma astratta del computo. Come racconta il quadro di Hummel, l’autore deve cedere il controllo all’interprete, che risponde di volta in volta al gusto, all’estro, alla situazione. Nelle avvertenze per l’interpretazione musicale della Voix humaine, Francis Poulenc rinuncia in maniera palese ai suoi diritti d’autore: «La lunghezza delle fermate [points d’orgue], così importanti in questa partitura, dipende dall’interprete». La sua, in realtà, è una maniera obliqua di affermare un controllo più alto, più profondo dell’intero processo, contraendo il proprio dominio per lasciar spazio a nuove forze creative.

Un complesso equilibrio
La dialettica autore/interprete trova la sua forma più sconvolgente in Fragmente-Stille, An Diotima di Luigi Nono, la partitura forse più definita dalla presenza della fermata. In questo lavoro per quartetto d’archi del 1979/80, Nono deforma completamente l’esperienza del tempo musicale, attraverso un complesso equilibrio di silenzi e suoni, di vuoti e pieni, di stasi e gesti. Il processo è guidato attraverso la gestione delle infinite fermate di cui è costellata la partitura. I quattro interpreti devono immergersi in un concetto di tempo completamente alieno da ogni precedente esperienza dell’esecuzione musicale. Ogni punto coronato, o per meglio dire ogni infinita variazione grafica del punto coronato immaginata da Nono, è un bagliore sulla laguna, un lampo di luce, un suono lontano, un frammento di colore su un muro, un’immagine impressa nella retina. Indica la massima libertà, soprattutto fuori dagli schemi della musica come riempimento del silenzio, e la massima espressione lirica individuale: non c’è altra partitura, forse, in cui la natura ambigua e sovversiva del punto coronato abbia trovato formulazione più sconvolgente e poetica.