Durante l’ultima settimana è stato un continuo stillicidio di ipotesi tra l’irresponsabilità e la stupidità, con la Francia nella parte del poliziotto buono che ha tenuto un dialogo aperto all’ipotesi del No-Grexit con un nuovo Memorandum in continuazione dei precedenti, e la Germania nella parte del poliziotto cattivo che puntava ad alleggerirsi del fardello greco dall’Eurozona; gli altri paesi erano comparse di poco conto, appoggiando gli uni o gli altri, con l’Italia che neppure ciò riusciva a fare.

Tsipras ha avuto il merito di trasformare il «no» in una unica voce dietro la quale ha raccolto tutti i partiti greci che erano per il Sì, e così si è presentato di nuovo in Europa, al Parlamento Europeo per chiedere di proseguire il negoziato. Così facendo ha sgombrato il tavolo per quanti puntavano alle dimissioni del suo governo come condizione politica sine qua non per la negoziazione.

Ma non è riuscito ad evitare che sul tavolo rimanesse, nella migliore dei casi, solo l’ipotesi di un Memorandum che sancisce (a) nessuna concessione alle richieste greche di fermare le politiche di austerità e (b) nessuna ristrutturazione del debito greco.

È difficile non pensare però che essa non sia altro che un equilibrio temporaneo: la crisi greca rimane in agenda ed il rischio di quella sistemica dell’Eurozona viene solamente posticipato perché i fondamentali non mutano.

Per i creditori il debito va pagato, e sono disposti a concedere linee di credito solo a condizione di un Memorandum 3 prosecuzione dei due precedenti. Ma l’esito di ciò è il perdurare della depressione in Grecia, nella misura in cui il governo ellenico non ha un piano B, accettando di non dichiarare default e non prevedere un modo controllato di uscita dall’euro.

Gli interventi previsti e sui quali il governo greco è costretto a convergere sono consistenti, 12 miliardi di tagli invece degli 8 precedenti, per ottenere 50-60 miliardi di aiuti nel triennio; tra gli interventi vi sono la revisione delle imposte verso l’alto che andranno a penalizzare la domanda interna ed i servizi che la Grecia oggi di più esporta (turismo) e quelli sulle pensioni che anche essi non sono certo nel breve periodo a sostegno della ripresa della domanda.

Che le privatizzazioni siano poi il grimaldello per far decollare il mercato interno, su questo è lecito avere dubbi. Alcune delle modalità con cui ciò verrà fatto non sono comunque da disprezzare, e non piaceranno certo alla Troika, perché segnano che nella modulazione possono passare interventi che sono pure nel programma di governo di Tsipras (aumento delle aliquote sui profitti, tasse sulle proprietà, e sul lusso, tagli alla difesa – purtroppo modesti per l’acquisto di materiale bellico, tagli alle pensioni anticipate, interventi contro l’evasione fiscale e la corruzione, aiuti ai meno abbienti), come è da apprezzare avere ottenuto una consistente riduzione dell’avanzo di bilancio all’1% nel 2015 e quindi 2%, 3%, 3,5% negli anni seguenti sino al 2018 che la Troika avrebbe voluto inalterato attorno al 5% ed oltre del Pil.

Altri interventi sono vere e proprie concessioni alla Troika: aumento dei contributi sanitari per i pensionati, abbandono del contributo di solidarietà alle pensioni più povere, revisione delle normative sul mercato del lavoro secondo le migliori pratiche europee ed adozione di legislazione per la contrattazione collettiva da concordare con le istituzioni. Ma che tutto ciò possa favorire la crescita in Grecia è assai difficile da pensare.

L’accordo non prevedendo peraltro nulla di definito circa la ristrutturazione del debito e lascia la Grecia con il cappio al collo. Costretta a ripagare i debiti in base ai programmi stabiliti e tenuta a onorare tassi di interessi che sono considerati da usurai, sebbene di mercato (ma il mercato può ben essere in mano agli usurai!), alla Grecia rimarranno ben poche risorse per affrontare i nodi strutturali di offerta e di domanda.

Le risorse che servono per pagare i creditori verranno sottratte ad iniziative per ristrutturare la struttura produttiva greca che contribuirebbero anche a sostenere la domanda interna.

Così i nodi strutturali della Grecia non possono essere affrontati ed anche nell’ipotesi che una qualche crescita prima o poi si presenti all’orizzonte, il vincolo esterno continuerà a mordere, e quindi la necessità della Grecia di farsi finanziare con flussi esteri i deficit commerciali. Nel medio e lungo periodo quindi il rischio è che si ripresentino i problemi di sostenibilità del bilancio pubblico e dei conti esteri che assillano la Grecia da ben prima del suo ingresso nell’Eurozona, senza che nel breve periodo lo stato di depressione dell’economia sia alleggerito. Lo scenario rimane quindi cupo per la Grecia.

Se questo sarà la base dell’accordo (e come potrebbe essere altrimenti?) che verrà sottoscritto con l’Eurogruppo e con il Consiglio dei 28 entro domenica, la Grecia certo prenderà tempo, ma non è detto che ciò dia tempo all’Europa.

Nel frattempo, l’austerità continua, mentre la crescita può attendere.