Andrea Orlando, ministro del Lavoro, ala sinistra del Pd e del governo, si dice «francamente sorpreso» dallo sciopero generale di Cgil e Uil. Parla di una manovra «con luci e ombre», che però « rafforza le garanzie per i lavoratori, aumenta le risorse sul fronte del sociale, degli ammortizzatori e sulla non autosufficienza». Quanto all’Irpef, «sicuramente non è una riforma che penalizza lavoratori e pensionati». Per questo, dice Orlando, «ritengo legittima la scelta del sindacato, rispettabile, ma non la definirei affatto scontata o dovuta».

Alla sede del Pd sono ore complicate. C’è anche un po’ di amarezza per il lavoro di cucitura fatto in queste settimane che non ha dato i risultati sperati. Resta a verbale una «chiara differenza di giudizio sulla manovra» rispetto a Cgil e Uil». Per i dem prevale un voto positivo. Ma anche la necessità di «tenere aperto il dialogo con i sindacati». «Proseguiremo col confronto a maggior ragione dopo la proclamazione dello sciopero», dice il responsabile economico Antonio Misiani. «Le nostre stelle polari sono il dialogo sociale e l’unità sindacale, il Paese non può permettersi una nuova stagione di conflitti sociali».

Letta resta in silenzio. Con i collaboratori spiega che «serve rispetto per l’autonomia del sindacato, ciascuno fa il suo mestiere». E ricorda che «in questi due anni di pandemia i sindacati hanno svolto un ruolo fondamentale nella tenuta del paese». Ma il rischio che il disagio sociale si trasformi in conflitto non è alle spalle. E una crescita che non porta occupazione non funziona.

Letta è convinto che questa sensibilità appartenga anche al premier Draghi. «Non è un caso che abbia proposto quell’intervento per le bollette eliminando i tagli fiscali ai ceti più alti», spiegano al Nazareno. L’operazione però non è andata in porto. E ora in agenda ci sono le pensioni, e le norme contro le delocalizzazioni che non hanno ancora visto la luce.

Il leader Pd ha incaricato il suo vice Peppe Provenzano di lavorare «per ricucire» lo strappo. I margini sono strettissimi, ma il dialogo tra Pd e sindacati non si è fermato. Improbabile una retromarcia del governo sull’Irpef, ma in Parlamento si può intervenire su scuola e non autosufficienza. E poi c’è il pressing sulle pensioni. Il tavolo sulla riforma della legge Fornero (per ora congelato) potrebbe essere un luogo dove accorciare le distanze.

Potrebbe. Sempre che lo sciopero aiuti i dem a «spostare più a sinistra» la manovra. E del resto sia Orlando che Provenzano che Misiani appartengono alla sinistra del partito. Quella che di rompere con la Cgil non ha alcuna intenzione.

Nell’ala destra del partito, gli ex renziani, sembra quasi di essere tornati alla guerra contro la Cgil del 2014, ai tempi del jobs act, guarda caso l’ultimo sciopero generale. «Questo sciopero è immotivato e ingiusto. Il governo è venuto incontro alle parti sociali. Bene ha fatto la Cisl a non prestarsi», attacca l’ex capogruppo in Senato Andrea Marcucci.

Ma anche tra i gli ex renziani più dialoganti il giudizio è contrario alle scelte di Landini. «Una decisione oggettivamente eccessiva. Si fatica a comprenderne le ragioni», dice Enrico Borghi, responsabile sicurezza della segreteria. «Una scelta che mi ha sorpreso negativamente», dice Dario Parrini. «Sarei insincero se dicessi che quella di Cgil e Uil è una risposta comprensibile e in linea con le presenti esigenze del Paese». Il senatore Stefano Collina rincara: «La Cisl ha fato bene a non unirsi allo sciopero: una scelta responsabile che contribuisce a non radicalizzare il confronto con una protesta incomprensibile».

Per Letta in queste ore non è facile tenere insieme la baracca. E tentare di riannodare i fili con la Cgil. L’unica luce è l’accordo firmato ieri tra il ministro Orlando e le parti sociali sullo smart working nel settore privato. Hanno firmato tutti, da Confindustria alla Cgil all’Usb. «Un modello virtuoso», dicono al Nazareno. «Continuiamo ad usarlo anche in altri passaggi», l’appello di Orlando. Avanti col dialogo, la manovra può cambiare», gli fa eco Federico Fornaro di Leu.