«Non l’ho presa come una critica»: diplomatica e sfacciata, Roberta Metsola nega l’evidenza, esclude che Matteo Salvini volesse prenderla di mira quando si è scagliato contro chi «cerca l’inciucio con la sinistra».

IN ITALIA per visitare il sud, ed è la prima volta che un presidente dell’europarlamento lo fa, Metsola assicura di avere come unico obiettivo «unire le persone e avvicinare l’Europa ai cittadini». Di fronte all’offensiva del leghista la parola d’ordine è minimizzare, condivisa del resto con la stessa premier italiana della quale la presidente del Parlamento europeo è del resto una delle principali sponde nel Ppe.

Oggi le due presidenti si incontreranno a palazzo Chigi. Parleranno molto di immigrazione, tema sul quale, almeno sulla carta, la sterzata drastica a cui mira Meloni è condivisa quasi da tutti nell’Unione. E’ probabile che le due leader affronteranno anche un tema molto più spinoso e soprattutto più incombente: la riforma del Patto di Stabilità. Lì le cose vanno molto peggio e non solo sulla carta. Se c’è uno scoglio sul quale la nave di Giorgia può naufragare mentre veleggia verso le sponde dell’europeismo è quello.

IERI GIORGETTI ha affrontato il tema in audizione parlamentare, ed è sembrato proporre una nuova mediazione che in realtà sarebbe un arretramento secco rispetto alle richieste italiane. Non ha parlato di scorporo delle spese verdi e digitali dal deficit, cioè di quella che è sempre stata la principale richiesta dell’Italia.

Quella richiesta, per il momento, non sembra infatti avere spazio alcuno di fronte al nein della Germania e dei Paesi frugali e l’Italia si potrebbe accontentare di vedere le spese strategiche considerate come fattore mitigante. Il ministro insiste però sull’elasticità nella riduzione del debito: «La previsione di ulteriori vincoli rispetto a quanto proposto dalla Commissione potrebbe portare a un esito non pienamente conforme agli obiettivi della riforma. Su deficit e debito bisogna prendersi impegni che si possono mantenere. Di fronte a delle regole sfidanti noi in qualche modo possiamo anche accedere, ma rispetto a regole impossibili da mantenere io non credo per serietà si possa dire di sì. L’Italia intende ridurre il debito in maniera realistica, graduale e sostenibile nel tempo».

PER AFFERRARE il senso del discorso di Giorgetti bisogna ricapitolare le richieste della Germania e dei Paesi nordici, sulle quali rischia di arenarsi la trattativa che tra domani e dopodomani a Bruxelles dovrebbe portare all’accordo sul nuovo Patto e che invece è ancora in alto mare. Il debito dovrebbe essere ridotto in misura dell’1% del Pil ogni anno per i Paesi che superano un debito del 90% del Pil, ed è il caso dell’Italia, e dello 0,5% per chi supera il tetto del 60%. L’Italia, per Giorgetti, può accettare questo vincolo: «Nelle nostre proiezioni sarebbe già possibile nel prossimo anno se non fosse per il Superbonus». Però bisogna dar tempo agli investimenti del Pnrr e alle riforme varate nel quadro del Piano di dispiegare i propri effetti: dunque nell’arco di 7 e non di 4 anni e «senza l’imposizione di ulteriori condizionalità, solo in base all’impegno dello Stato membro di continuare lo sforzo di riforma e di investimento intrapreso con il Pnrr».

Altrettanto se non addirittura più spinosa e l’altra richiesta sulla quale i falchi del rigore puntano i piedi: una «zona cuscinetto» nel tetto del deficit che dovrebbe servire ad allontanare i rischi di sforamento. Nella pratica, però, quella zona cuscinetto diventerebbe qualcosa di molto vicino a un irrigidimento del parametro del 3% dal momento che, per rientrare nel cuscinetto, bisognerebbe tenersi al di sotto del 2% e forse addirittura dell’1,5% nel rapporto deficit/Pil.

SE I CRITERI fossero questi, dunque più rigidi di quelli vecchi, l’Italia potrebbe trovarsi costretta a non firmare il Patto. A quel punto ogni possibilità di ratificare la riforma del Mes svanirebbe ma si volatilizzerebbero anche i buoni rapporti che Chigi vuole mantenere con la Ue e viceversa. Di questo rischio non potranno che discutere oggi le due presidenti. Perché a fregarsi le mani in caso di rottura e conflitto sarebbe solo il rivale comune: Matteo Salvini.