Come è stato scritto anche dalle colonne di questo giornale, con l’indizione del Giubileo Bergoglio ha messo in chiaro in che senso la misericordia sarà cifra del suo pontificato. Da subito, il papa che ha adottato il nome del poverello di Assisi si è presentato con l’obiettivo di «misericordiare»: un neologismo che non significa fare della misericordia, ma mostrare che Dio è misericordia. Il Giubileo, il tempo della misericordia per eccellenza, sarà dedicato alle diverse declinazioni di questa categoria cristiana: riconoscimento del male, remissione dei peccati e riconciliazione.

Ci aiuta a comprendere meglio il quadro teologico che vi sta dietro il libro che Raniero La Valle ha pubblicato poco prima della convocazione (Chi sono io, Francesco?, Ponte alle Grazie). Il titolo, apparentemente enigmatico, contiene già al suo interno la chiave interpretativa. Molto è stato detto sul «Chi sono io per giudicare un omosessuale?» pronunciato da Bergoglio nel luglio 2013, ma nessuno ha saputo fornire un’interpretazione che andasse oltre al semplice dato di cronaca. Per l’autore, invece, quella disattivazione del principio dell’infallibilità era il principio di un cambiamento di impostazione radicale. I due assi portanti riguardano l’organizzazione della Chiesa e la presentazione della dottrina. Della prima il libro parla diffusamente a partire dal rinnovamento della funzione ministeriale del papato operato delle dimissioni di Benedetto XVI.

Bergoglio, che recentemente ha pronosticato un pontificato breve, non ha in programma solo una pulizia interna, ma recuperando la lezione del Vaticano II intende valorizzare la dimensione collegiale dell’Ecclesia, di cui costituisce il capo in senso paolino e non il monarca a vita. Come scrive La Valle, papa Francesco ha ripristinato lo strumento del Sinodo per mettersi «dietro al gregge». Che poi i risultati della sessione ristretta siano stati deludenti non diminuisce il valore della celebrazione dell’assemblea. Dopo decenni di asfissia curiale e nonostante il basso livello di preparazione dell’episcopato, il «popolo di Dio» è tornato a discutere ciò che prima non era discutibile tanto al suo interno quanto nei confronti delle società.

La Chiesa di papa Francesco ha quindi messo in secondo piano la legge naturale in favore del discernimento delle situazioni concrete, mentre sul piano della teologia il paradigma della misericordia ha assunto anche una dimensione politica generale. Dalla visita di Lampedusa al discorso ai movimenti sociali – spiega La Valle – Francesco ha annunciato che il mondo è nudo e che la società «delle caste» e «dello scarto» sta portando alla catastrofe. La sua è un’apocalittica sociale che non ha paura di chiamare il liberismo con il suo nome e che compie una scelta di parte sposando la lotta dei poveri (anche se, è bene ricordarlo, all’interno di uno schema ideologico con forti retaggi organicistici).

Tornando al piano teologico, se Dio ha donato all’uomo la libertà individuale di agire, e anche di peccare, la liberazione avviata dal sacrificio di Cristo passa, per papa Francesco, dal riconoscimento che la remissione è un gesto collettivo rispetto al quale la Chiesa deve essere un segno e, in prima istanza, un segno di pace. Il viaggio in Terra Santa e la veglia per la pace in Siria rappresentano a questo proposito due episodi chiave. Completando il percorso novecentesco di delegittimazione dei conflitti, il papa ha denunciato l’idolatria sacrificale che si cela nei proclami alla guerra santa e alle guerre umanitarie. Quello di papa Francesco – ci dice La Valle – è un Dio non violento la cui profezia performativa agisce nel tempo della Terza guerra mondiale ingaggiata contro i popoli e le religioni. In quest’ottica si inseriscono anche la ripresa del dialogo con il mondo islamico, dopo lo choc del discorso di Ratisbona, e la rimodulazione del dialogo con l’Europa: non più nel nome della radici cristiane, ma nel solco di un percorso comune di fronte alla deriva antropologica.

A giudizio di chi scrive, in quest’ultimo aspetto si cela uno dei punti più ambigui e potenzialmente insidiosi per una laicità europea sottoposta a pressioni molto forti e proprio nel riconoscimento dei diritti dell’uomo e della sua capacità di autodeterminarsi si misurerà la profondità della ridefinizione della misericordia come annuncio di liberazione. Resta il fatto che la pastorale del pontefice tocca le strutture profonde del nostro presente: dalla sua rappresentazione alla performance. È quindi la sua (anche) una sfida lanciata alla politica e una risposta degna del livello della partita non può limitarsi all’acclamazione o al rifiuto a priori.