Il nuovo governo di Alexis Tsipras ha giurato nelle mani del presidente della repubblica Prokopis Pavlopoulos. Quarantasei membri chiamati ad applicare subito quanto pattuito con i creditori, ma anche a mettere in pratica le cosiddette misure equivalenti, in un «programma parallelo», che possa far respirare le classi sociali più deboli. I ministri sono 16, altrettanti i ministri aggiunti e 12 i viceministri. E, malgrado alcune incertezze della vigilia, Efklidis Tsakalotos continuerà a guidare il delicatissimo dicastero della finanze. Insieme al responsabile dell’economia Jorgos Stathakis e il vice ministro che gestirà i fondi europei, Alexis Charitsis, dovrà cercare di far ripartire il paese, evitando svendite del patrimonio pubblico e licenziamenti nel settore privato. Sino alla fine dell’anno ci si attende che l’economia reale sia sostenuta da circa sei miliardi di euro provenienti da fondi europei, mentre il piano Juncker per la Grecia, dovrebbe toccare, nel complesso, i 35 miliardi.

Un’altra priorità è la profonda rivisitazione del sistema fiscale. Non a caso, Tsakalotos, subito dopo aver giurato, ha dichiarato che compito e intenzione del nuovo governo è «trovare il modo per poter far pagare, contribuendo a dovere, chi dispone di alti redditi». L’intenzione, quindi, è quella di marcare il carattere e la sensibilità sociale del governo, malgrado il memorandum, rendendo chiaro che si tratta di un esecutivo di sinistra e che Syriza non ha per nulla rinunciato ai propri principi.

Nikos Kotziàs viene riconfermato agli esteri, come anticipato, Panos Skourletis allo sviluppo, mentre Panos Kammenos, leader dei Greci Indipendenti, rimane alla guida della difesa. Come sottolineato dai commentatori, si tratta di un governo molto simile a quello che si era dimesso a fine agosto, per andare ad elezioni anticipate. La scommessa era poter permettere alla Coalizione della Sinistra Radicale greca, di potersi rafforzare, grazie al sostegno popolare, malgrado la firma di un difficile compromesso con i creditori, ed è stata vinta, nonostante gran parte della stampa e dei sondaggisti schierati contro.

Tra le novità del nuovo esecutivo Nikos Filis, ex capogruppo di Syriza e Jorgos Chouliarakis, che diventa ministro delle finanze aggiunto. Aveva preso il posto di Tsakalotos, nel governo ad interim e viene considerato un uomo molto concreto, che si muove sempre con realismo, numeri e dati alla mano. Jannis Dragasakis rimane vice presidente dell’esecutivo, ed anche lui, parlando ai giornalisti in attesa davanti al palazzo presidenziale, ha ribadito che le priorità sono sì la ripresa e la riorganizzazione dell’economia, una giusta attuazione degli accordi con i creditori, ma anche rendere palese che il governo avrà un profilo di sinistra. La presidenza della camera andrà, come da previsioni, all’ex ministro degli interni Nikos Voutsis, il cui rapporto con Tsipras è solido e non imprevedibile, come quello della pasionaria Zoi Konstantopoulou, ex presidente della Voulì -il parlamento ellenico – che ha voluto sposare la causa di Unità Popolare. Subito dopo l’annuncio della lista dei ministri, si è complimentato via twitter con Tsakalotos il commissario europeo agli affari economici Pierre Moscovici, «felice» di poter collaborare ancora con il ministro delle finanze «per poter aiutare, insieme, la Grecia».

Tuttavia, le difficoltà non mancheranno, e l’esecutivo del leader della sinistra greca dovrà prepararsi a nuovi agguati e pressioni. Come riporta Efimerida Syndakton, il Quotidiano dei Redattori di Atene, è molto probabile che malgrado la disponibilità di facciata del Fondo Monetario Internazionale ad arrivare ad un accordo per un alleggerimento del debito greco, in realtà l’Fmi cerchi di allungare ad arte i tempi della trattativa. E che nel corso della prima valutazione dei «progressi» compiuti dalla Grecia nell’applicare le «riforme» imposte, i creditori presentino al governo una lista di ulteriori tagli. La trattativa non è finita, Alexis Tsipras lo sa bene. Si prepara a dare battaglia, per contrastare tutti coloro che sperano ancora in un ritorno della vecchia classe politica, magari tramite un governo di unità nazionale, che rimane nei desideri e nelle speranze delle istituzioni creditrici.