Il ministro delle finanze che non c’è più
«Poco dopo i risultati del referendum sono stato informato di una certa preferenza di alcuni membri dell’Eurogruppo, e partner assortiti, per la mia assenza dai loro incontri». Questo è stato […]
«Poco dopo i risultati del referendum sono stato informato di una certa preferenza di alcuni membri dell’Eurogruppo, e partner assortiti, per la mia assenza dai loro incontri». Questo è stato […]
«Poco dopo i risultati del referendum sono stato informato di una certa preferenza di alcuni membri dell’Eurogruppo, e partner assortiti, per la mia assenza dai loro incontri». Questo è stato considerato da Tsipras «potenzialmente utile per raggiungere un accordo. Per questo, lascio oggi il Ministero delle finanze». Così Yanis Varoufakis ha annunciato le sue dimissioni, aggiungendo che «porterò con orgoglio l’odio dei creditori».
Un esito inatteso quest’uscita di scena di un personaggio fuori dagli schemi – foto della sua partenza in motocicletta compresa – tanto da ricevere la simpatia di molti media per nulla teneri verso il governo Tsipras. Al di là dell’immagine – niente cravatta, nessuna paura di scontrarsi con gli avversari, battuta pronta – la presenza di Yanis Varoufakis nel governo Tsipras è stata fondamentale per segnare la discontinuità rappresentata dalla vittoria di Syriza al voto del gennaio scorso.
Sul piano economico ha portato una grande competenza. È stato professore all’Università di Atene e all’Università del Texas ad Austin, dove insegna il suo grande amico e consigliere James Galbraith – dopo aver insegnato in Gran Bretagna e a Sidney. Ha saputo rovesciare la logica dei creditori con gli argomenti sviluppati nei suoi libri «È l’economia che cambia il mondo» (Rizzoli), «Il minotauro globale», «Confessioni di un marxista irregolare», e «Una modesta proposta per risolvere la crisi dell’euro», scritto con James Galbraith e Stuart Holland (usciti da Asterios), oltre a quelli apparsi in inglese sui fondamenti dell’economia, la teoria dei giochi, l’economia dopo la crisi del 2008. Un bagaglio di idee e di politiche alternative che è stato essenziale per mettere in discussione – per la prima volta dall’interno dei palazzi europei – austerità e neoliberismo. Tanto da essere accusato da fare «discorsi da economista» in vertici di ministri accomunati dal «pensiero unico».
Sul piano politico il suo ruolo è stato ancora più dirompente. Ha messo in discussione i rapporti di forza e ha rotto le formalità dell’Eurogruppo – il vertici dei ministri delle finanze europei – facendo saltare l’unanimismo di facciata e le mediazioni al ribasso che regnano a Bruxelles. Si è scontrato fin dal primo vertice con Schauble e Dijsselbloem, ha definito la troika «un comitato costruito su fondamenta marce». E, alla vigilia del referendum ricordava: «Perché ci hanno costretti a chiudere le banche? Per diffondere la paura tra la gente. E diffondere la paura si chiama terrorismo».
All’indomani del voto europeo dell’anno scorso, in un’intervista a Thomas Fazi – nello speciale «Sbilanciamo l’Europa», nel manifesto del 30 maggio 2014 – spiegava: «Non c’è nulla all’orizzonte che faccia prevedere che le élite risponderanno in maniera creativa alla crisi economica. Solo un’insurrezione democratica contro l’establishment europeo sarà in grado di invertire l’attuale processo di frammentazione dell’Europa». Il referendum greco ha ora dato il primo scossone, ma questo ha scatenato il panico tra i potenti di Bruxelles. Non gliel’hanno perdonata e la sua sostituzione è stata chiesta come condizione per discutere seriamente un accordo.
Ma proprio questa è la vittoria più importante per Varoufakis. Il fatto che da oggi a Bruxelles ci sia una proposta d’accordo che riguarda la ristrutturazione del debito e non più soltanto le misure da austerità è un importante cambiamento di rotta. Il successo di una strategia a cui il governo Tsipras è rimasto fedele fino in fondo, premiato dalle urne: non uscire dall’euro, ma cambiare le politiche dell’Europa.
«Un ministro delle finanze adatto a una tragedia greca?» era il titolo di un lungo servizio su Yanis Varoufakis del New York Times Magazine del 20 maggio 2015. Ed è un’immagine da tragedia greca quella del condottiero vittorioso che viene sacrificato per poter vincere la guerra.
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