Un buon criterio di giudizio per valutare il merito della riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari è quello di prendere in considerazione le finalità perseguite, valutando la coerenza tra fini dichiarati e mezzi utilizzati.

In questo modo si registra una sostanziale ambiguità e progressivo offuscamento dei risultati auspicati. Infatti, la sfida iniziale era assai impegnativa: ci si proponeva di rafforzare gli istituti tanto della democrazia diretta (tramite il referendum propositivo) quanto di quella rappresentativa (intervenendo sulla struttura del Parlamento). Un’intenzione encomiabile, del tutto condivisibile. Peccato che la realizzazione s’è rivelata contraddittoria ed ha sostanzialmente ribaltato i buoni propositi iniziali. Infatti, l’attenzione s’è concentrata esclusivamente sull’esigenza di “risparmiare”, la propaganda ha soffiato sul fuoco dell’antipolitica perdendo di vista alla fine il problema reale: la necessità di un rilancio del ruolo del Parlamento. In questa chiave non si può realmente credere che la crisi profonda in cui versano le nostre Camere sia determinato esclusivamente dal numero dei suoi membri. I veri problemi sono sotto gli occhi di tutti.

Per quanto riguarda la struttura è ben noto che la questione di fondo, la più radicale, non tanto riguarda il numero complessivo dei parlamentari, quanto la scelta costituente del bicameralismo perfetto. Nessuno dei revisionisti costituzionali negli ultimi trent’anni ha promosso quella che un acuto conoscitore del Parlamento (Pietro Ingrao) riteneva essere “la più limpida delle soluzioni”, rispetto a un “bicameralismo confuso”: la configurazione monocamerale garantita da un sistema elettorale proporzionale. La scelta di ridurre il numero dei rappresentanti del popolo senza intervenire sulla struttura non può frenare di per sé la progressiva emarginazione dell’organo parlamentare.

Lasciando invariata la struttura, il problema che oggi dovrebbe essere affrontato con coraggio e determinazione è quello della drammatica perdita del ruolo costituzionale del Parlamento, che ha cause anch’esse tutte ben note.

Anzitutto, l’autonomia del nostro Parlamento è oggi compromessa dall’abbraccio soffocante con l’organo Governo, il quale dirige i lavori parlamentari e impone la sua volontà abusando degli strumenti che sono previsti nei regolamenti. Tutti sanno che il Parlamento sta morendo sotto i colpi dell’alluvionale decretazione d’urgenza che costringe l’organo legislativo ad un’opera di mera conversione, privandolo della possibilità di svolgere iniziative autonome. Tutti sanno che la discussione parlamentare è diventata una farsa, perché compromessa dagli interventi extraparlamentari del Governo che, imponendo la fiducia, fa decadere ogni possibilità di confronto parlamentare. Tutti sanno che la formazione delle leggi ha assunto forme mostruose a causa della perversa consuetudine del Governo di stroncare la discussione sul testo articolo per articolo presentando maxiemendamenti su cui far votare senza cognizione di causa.

Si è inoltre ben consapevoli dei problemi che riguardano l’organizzazione dei lavori all’interno del Parlamento. Anzitutto è alle Commissioni che si dovrebbe guardare. Sono queste strutture il cuore pulsante dell’organo parlamentare. Solo se si riesce a garantire un serio lavoro istruttorio si può immaginare un buon esito non solo dell’attività legislativa, ma anche di quella d’indagine e di controllo del Parlamento. Tutti sanno che, invece, i lavori delle Commissioni sono ormai poste al servizio di quelle dell’Aula e dominate dall’ossessione dei tempi contingentati, privati ormai di ogni funzione autonoma. Troppo spesso ci si scandalizza per le immagini che ritraggono l’Aula deserta, nessuno si occupa del deserto in Commissione.

Poi – è vero – c’è un problema assai delicato che riguarda i parlamentari. Ma più del numero ciò che preoccupa è il loro status. La nostra Costituzione prescrive che essi si pongano come rappresentanti della nazione e che svolgano il proprio mandato senza vincoli. Tutti sanno che nella realtà della vita parlamentare non è così. I legami degli eletti con i rispettivi partiti di appartenenza (e le tante correnti che li attraversano) sono ormai tali che rendono quasi impossibile esprimere opinioni e voti in dissenso. Tra le ragioni del deprecato transfughismo (i cosiddetti “cambi di casacca”) c’è da considerare la fine della libertà politica del singolo parlamentare nell’esercizio delle proprie funzioni, il quale – se è in dissenso – può solo cambiare gruppo. È questa una rinuncia a garantire una sana dialettica parlamentare.

Una dialettica parlamentare offesa anche da una conduzione dei lavori e da un’interpretazione vessatoria delle norme regolamentari sempre più condizionata dalle ragioni dell’efficienza e dalla compressione delle prerogative delle minoranze, le quali spesso rispondono chiudendosi in un cieco e infruttuoso ostruzionismo. Tutti ricordano le mortificazioni subite dai parlamentari di opposizione a cui è stato impedito di discutere proposte di modifica dei disegni di legge tramite escamotage procedurali che i Presidenti dei due rami del Parlamento non hanno voluto (pur potendo) contrastare.

Dagli emendamenti del Governo o di parlamentari della maggioranza proposti strumentalmente solo per precludere la discussione, alle ghigliottine che stroncano le discussioni in corso, imponendo il passaggio al voto finale. Lo strumento principale e più diffuso è stato quello della dichiarazione oltre ogni ragionevolezza dell’inammissibilità degli emendamenti da parte dei Presidenti di Commissione o di Assemblea.

Dispiace – ma appare ahimè assai significativo – che l’attuale presidente della Camera, che pure si era speso in passato per rivendicare le prerogative del Parlamento e dei parlamentati, abbia fornito un’interpretazione del regolamento francamente umiliante di tali prerogative, dichiarando inammissibile perché “affatto estranei all’oggetto della discussione” tutto ciò che non riguardasse il numero dei parlamentari. Rispetto ad analoghi comportamenti precedenti non avendo – in questo caso – neppure la scusa di dover garantire i tempi a fronte di un’opposizione predisposta a pratiche ostruzionistiche. Mostrando platealmente come l’unico intento della riforma sia fare propaganda sui tagli e risparmi simbolici, mentre si lascia marcire la crisi del Parlamento. I problemi li conoscono tutti, nessuno li vuole affrontare.