Sono in nove e vengono dalla Svezia. Ma niente a che fare con atmosfere brumose, languidezze simil-folk e lunghi silenzi. I nomi dicono poco se si esclude il trombettista Magnus Broo. Sezione ritmica con vibrafono e fiati. Niente di particolarmente azzardato insomma. Già con il precedente Injuries si erano fatti notare come una delle proposte più sorprendenti del nuovo jazz europeo. Con questa nuova incisione confermano e rilanciano. Non-jazz, anti-jazz, post-jazz? Quello che è certo è che suonano compatti come una falange spartana.

La ricetta è semplice: scansioni ritmiche implacabili, riff incalzanti, assoli avantgarde. Tutti pezzi a firma del sassofonista Martin Küchen a base di funk pesante e reminescenze afrobeat. Il finale Love, flee thy house (in Breslau) rimanda direttamente alla Liberation Music Orchestra di Charlie Haden collegandosi tematicamente al concept dell’album che è dedicato alle vittime delle incarcerazioni e delle torture. Meraviglia.