A far capire ai sindacati quanto poco il governo sia intenzionato a modificare il capitolo pensioni nella manovra è bastato leggere l’oggetto della convocazione per il tavolo tecnico previsto lunedì. L’ordine del giorno redatto dall’ineffabile – ma ormai commissariato dai tecnici di Padoan – Marco Leonardi, consulente economico di palazzo Chigi, prevedeva semplicemente: «Adeguamento età pensionabile e aspettativa di vita per alcune occupazioni».

Venerdì sera invece governo e Cgil, Cisl e Uil avevano concordato di discutere e modificare molti altri argomenti, a partire dal tema delle pensioni per i giovani senza dimenticare quello del meccanismo generale dell’aspettativa di vita.

SOLO DOPO UNA LETTERA unitaria delle tre confederazioni che contestava l’oggetto della convocazione l’ordine del giorno è stato ampliato. Ma è chiaro che le premesse per un accordo già difficile diventano ancora più complesse, nonostante le rassicurazioni.

L’attenzione spasmodica alle 11 categorie che «non andranno in pensione a 67 anni» – operai dell’industria estrattiva e dell’edilizia; gruisti; conciatori; macchinisti; camionisti; infermieri con turni notturni; addetti all’assistenza di persone non autosufficienza; insegnanti di nidi e materne; facchini; addetti alle pulizie; operatori ecologici – da parte di quasi tutti i media dimostra la poca conoscenza della materia. Si stima che i lavoratori coinvolti nel 2019 siano solo 16mila con una spesa di 100 milioni.

LAVORATORI POI CHE RISCHIANO una possibile beffa atroce. Come si sa la tipizzazione dei lavori cosiddetti gravosi è già prevista nell’Ape social. Il provvedimento permette ai lavoratori di queste categorie – assieme al requisito di avere 30 anni di contrubuti e di aver svolto queste mansioni almeno in 6 degli ultimi 7 anni – di andare in pensione anticipata a 63 anni. Se l’Ape social – che al momento è un provvedimento sperimentale – non sarà rinnovata, nel 2019 tutte queste persone andranno in pensione, sì, in anticipo rispetto ai 67 anni degli altri lavoratori – basteranno 66 anni e 7 mesi – ma comunque 3 anni e 7 mesi dopo i 63 anni compiuti i quali ora possono fare domanda per l’Ape social: una vera beffa.

ANCHE PER QUESTO MOTIVO Cgil, Cisl e Uil continuano a puntare ad interventi complessivi e non limitati alla platea de «gravosi». Dando priorità alla modifica del meccanismo generale sull’adeguamento all’aspettativa di vita: modificare ad esempio il calcolo da triennale a biennale o gli effetti su tutte le tipologie (età di vecchiaia, età di anzianità, coefficienti di pensione). Per non parlare della vera bestialità: in caso di diminuzione dell’aspettativa di vita, l’età pensionabile non cala: la dimostrazione più lampante che le pensioni sono state usate semplicemente per far cassa.

«NON SARÀ FACILE in una settimana fare gli approfondimenti e ottenere le risposte che il governo in mesi di confronto non ci ha saputo dare», sottolinea Roberto Ghiselli, segretario confederale Cgil. «Ci proveremo partendo dai contenuti del nostro documento, con al centro la modifica della legge sull’aspettativa di vita, i giovani, i lavori di cura e la previdenza complementare. Nel frattempo continuiamo le assemblee nei luoghi di lavoro e nel territorio e, se nell’incontro del 13 novembre non vi saranno risposte adeguate, intensificheremo la mobilitazione», conclude Ghiselli.

OLTRE ALLA MOBILITAZIONE, ai sindacati rimane la via parlamentare. Ma Cgil, Cisl e Uil sono consci che mettersi nelle mani del prossimo governo sarebbe più rischioso che cercare di ottenere miglioramenti ora.

Sempre che il governo li proponga.