Braccio di Ferro era forte perché mangiava tanti spinaci. Peccato però che il padre di Popeye, Crisler Segar, si fosse basato su una teoria sbagliata, dovuta a un errore tipografico del chimico tedesco von Wolf, che per aver mal collocato una virgola aveva attribuito agli spinaci nel 1870 un tenore in ferro dieci volte superiore alla realtà (la smentita è arrivata con un articolo del chimico T.J.Hamblin, pubblicata cent’anni dopo, nel 1981, sul British Medical Journal). Un errore – o una serie di errori – sarebbero oggi all’origine della Bibbia della teoria dominante, che sostiene che quando il debito pubblico di un paese oltrepassa il 90% del Pil, si produce un crollo della crescita: la tesi degli economisti di Harvard Carmen Reinhard e Kenneth Rogoff non è riproducibile ed è stata smentita dai lavori di Robert Pollin e Michael Ash dell’università del Massachusetts. In base a questa teoria del 90% è stata imposta l’austerità, in particolare in Europa, considerata zona corrosa dal debito pubblico. La Commissione europea ha reagito con un’alzata di spalle alla confutazione della teoria di Reinhard-Rogoff. Il commissario agli Affari economici, Olli Rehn, ha affermato che la zona euro non cambierà certo politica in base a qualche critica. Ma la convinzione che sia controproducente aggiungere austerità a delle economie già in recessione sta facendo passi avanti.
Una nuova prova viene dal comunicato finale del G20, che si è chiuso nel fine settimana a Washington. Il ministro russo Anton Siluanov, che presiede il G20, ha raccontato che alla riunione c’è stato «un lungo dibattito sulla questione se bisognasse precisare degli obiettivi» sul debito massimo e ha commentato: «bisogna mantenere una politica elastica», che permetta di poter rilanciare la crescita e l’occupazione. Gli Usa, che con Giappone e Corea del Sud (cioè tre paesi che non hanno scelto l’austerità) ha ricevuto i complimenti del G20, hanno impedito che nel comunicato finale fosse contenuta l’incitazione ad abbassare la proporzione tra debito e Pil. Già il Fmi si era inquietato di recente per la persistente crisi della zona euro e aveva invitato Bruxelles ad allungare le redini del rigore. Lo stesso Fmi ha esortato la zona euro a non imporre più degli obiettivi precisi – 3% di deficit, 60% di debito – per lasciare spazio agli stabilizzatori automatici. Molti economisti hanno messo in luce negli ultimi tempi gli errori di fondo fatti sui moltiplicatori: in un periodo di crisi, una stretta nella spesa pubblica avrebbe un più grande impatto sull’economia di quanto si creda. Il suggerimento è di alleggerire la mano e di allungare i tempi per un rientro dei deficit, visto che, in un periodo di recessione, l’austerità ha l’effetto contrario di quello per cui è stata imposta (cioè il debito aumenta invece di diminuire, come dimostrano i paesi della periferia della zona euro e adesso anche la Francia).
Il G20, con maggiore reticenza, si è anche occupato dell’altro argomento al centro del dibattito internazionale: l’evasione e i paradisi fiscali. Sulla carta, l’obiettivo è di arrivare a scambi automatici di informazioni, per evitare la fuga di capitali. Ma non c’è solo la Svizzera a frenare. La Cina, per esempio, continua a proteggere Hong Kong.