E se lo sgombero non ci fosse? Non si contano gli ordini di abbandonare le piazze occupate lanciati dal governo, con l’assenso del ministero dell’Interno e dei militari, ai contestatori pro-Morsi. Eppure gli islamisti non si fanno intimidire: nulla si muove a Rabaa al-Adaweya, nessuno tra i Fratelli, e parte dei salafiti che li sostengono, ha lasciato gli accampamenti.
«Stanotte eravamo terrorizzati, perché secondo Al Jazeera (televisione del Qatar che copre le manifestazioni di Rabaa, ndr), decine di veicoli della polizia percorrevano la strada da Alessandria verso il nostro accampamento», ci spiega Faisal che ormai da giorni vive qui, nella «repubblica islamica» improvvisata davanti alla moschea del Cairo. Già nella lunga notte di sabato, il blitz della polizia sembrava imminente, quando per due ore è andata via la corrente in tutto il quartiere e i Fratelli musulmani si sono affrettati ad annunciare di aver attivato generatori autonomi.

Ma a frenare sulla possibilità di uno sgombero, anche se graduale, sono ormai intervenute anche le istituzioni ad interim. La presidenza, in un colloquio congiunto del presidente Adli Mansour e il vice Mohammed El Baradei, ha chiesto di evitare l’irruzione negli accampamenti. «I Fratelli perdono consenso di giorno in giorno, lasciamoli pure continuare e saranno completamente isolati», ha dichiarato Baradei. In realtà, in un sondaggio reso noto dal Centro per gli studi di comunicazione, si fa riferimento a una schiacciante maggioranza di egiziani (il 69%) contraria alla destituzione di Morsi. Tuttavia, l’ex presidente sarà in prigione almeno per altri 15 giorni. Lo ha stabilito il procuratore generale Hesham Barakat, nell’ambito delle indagini sul ruolo di Hamas nell’evasione di Morsi dal carcere, dopo le rivolte del 2011. All’annuncio, sono riprese anche le manifestazioni negli accampamenti islamisti sistemati da mesi nel piazzale della Corte costituzionale.

La mediazione di Al Azhar

Non è detto che non si trovi una soluzione al muro contro muro. Per evitare lo sgombero, lo sheykh di al Azhar, Ahmed Tayeb, principale autorità religiosa sunnita dell’Egitto, ha lanciato per questa settimana il dialogo con esponenti di tutte le forze politiche. Abbiamo visitato nell’antico quartiere di Helmeya la moschea di Al Azhar, centro dell’Islam sunnita. Tentiamo di capire qui quale ruolo stia giocando quest’influente istituzione nella gestione della resistenza islamista.

E un negoziato sembra ancora possibile. «Sarà un incontro per la riconciliazione e la stabilizzazione del paese. Ci saranno esponenti del Fronte di salvezza nazionale (le opposizioni ora al governo, ndr) e di tutti i partiti», ci spiega l’anziano sheykh di Al Azhar, Abdallah Taier. Gli chiediamo se saranno presenti anche esponenti dei Fratelli musulmani che hanno detto di non riconoscere la mediazione di Al Azhar. «Sì, verranno anche loro, non so chi, ma verranno. Non solo, hanno confermato la loro presenza, rappresentanti delle chiese cristiane», prosegue lo sheykh. La guida di Al Azhar, Ahmed Tayeb, insieme al papa copto Tawadros II, aveva dato il suo appoggio al colpo di stato militare che ha deposto Morsi.

Tuttavia, in un’intervista rilasciataci nel 2009, il leader islamista Essam El Arian parlava di un legame strettissimo tra Fratellanza e Al Azhar, in riferimento al dilemma sugli effetti di un’eventuale partecipazione politica del movimento islamista. Ma poi qualcosa è andato storto. La rottura tra Al Azhar e Fratellanza ha messo in crisi non poco la leadership dei Fratelli musulmani, impegnata costantemente nel trovare legittimità politica alla difesa del discorso islamista.

E così lo scorso luglio Gehad Al Haddad al manifesto definiva «ripugnante» la decisione dell’imam di Al Azhar, colpevole di essersi prestato ad una «strumentalizzazione politica» dell’esercito durante il colpo di stato. Haddad ha anche criticato la leadership di Al Azhar, secondo lui, connivente con il dissolto Partito nazionale democratico dell’ex presidente Mubarak. In realtà, dopo le rivolte del 2011, i Fratelli musulmani hanno conferito ampia indipendenza a quest’istituzione nel definire i suoi regolamenti secondo la Costituzione approvata nel dicembre scorso e ora sospesa.
Al Azhar ha quindi acquisito un essenziale ruolo di conciliazione in questa fase e tenta di posticipare l’intervento dell’esercito. «È proibito sgomberare persone che manifestano pacificamente. Se fossi al posto di militari e polizia li lascerei lì, anche per uno o due anni, se questo non causasse un danno al paese, solo chi usa violenza deve essere punito», continua lo sheykh Taier. Ma difende la decisione del centro teologico Al Azhar di schierarsi con i militari: «Non è stato un colpo di stato, altrimenti ora ci sarebbe l’esercito a governare, non un presidente e un premier. Sono sicuro che Morsi ha delle responsabilità politiche, che militari e governo conoscono benissimo, e saranno sicuramente rivelate nei prossimi giorni», conclude criptico lo sheykh.

Fratelli, tra calcio e resistenza

A tuonare contro l’iniziativa di Al Azhar sono arrivate invece le parole del predicatore Safwat Hegazy. Hegazy ha annunciato nuove manifestazioni, che sono partite nel pomeriggio di ieri dalla moschea Fatah in piazza Ramsis. Il politico ha poi ribadito che non è possibile dialogare con chi sostiene il golpe. Nonostante le tensioni, Hegazy ha rivelato il risultato di un’inedita partita di calcio tra le squadre di Rabaa e Nahda. Composte da giocatori dell’associazione «Atleti contro il golpe», le squadre si sono affrontate la scorsa domenica nel sit-in di piazza Nahda: Rabaa ha vinto per 3 a 1; mentre i noti giocatori Ali Kashaba e Samir Sabri erano presenti al match insieme ad alcuni ultras dell’Al-Ahly.

Non solo, nella notte di sabato, centinaia di sostenitori dei Fratelli musulmani si sono dati appuntamento nel quartiere di Maadi per protestare alle porte della residenza dell’ambasciatore di Israele in Egitto. «Il ministero degli Interni è composto da criminali», urlavano i manifestanti. Mentre, dopo l’annuncio del fallimento delle mediazioni internazionali, secondo la stampa locale, una delegazione di esponenti della Commissione esteri del partito islamista Libertà e giustizia sarebbe in procinto di partire per Washington per colloqui diretti con il presidente degli Stati uniti Barack Obama.
Infine, le tensioni si diffondono in tutto il paese. Le autorità egiziane hanno dichiarato lo stato di emergenza a Luxor, Aswan e nell’Alto Egitto. I carri armati dell’esercito sono stati dispiegati intorno ad alberghi e siti turistici, in assenza di visitatori. Mentre si aggrava la crisi nel Sinai. Secondo il portavoce dell’esercito Ahmed Aly, i raid della notte di sabato contro un movimento radicale nel nord della penisola hanno causato la morte di 25 persone.