Sentire un ministro del lavoro scagliare contro Confindustria l’accusa di «terrorismo psicologico» sul «decreto dignità» e di partito preso a favore del gioco d’azzardo è come fare un salto all’indietro in un tempo che potrebbe essere quello della rivoluzione bolscevica. È accaduto ieri al vicepremier Luigi Di Maio che ha reagito alla relazione della direttrice generale di Confindustria Marcella Panucci che in un’audizione davanti alle commissioni finanze e lavoro della Camera ha ribadito che le norme sui contratti a termine potranno avere «un impatto negativo sull’occupazione complessiva». Ma all’epoca della politica che cerca un equilibrio tra la suggestione della «lotta contro la precarietà» e l’annunciato ripristino dei voucher è bene attutire i toni stridenti delle dichiarazioni, soprattutto quelle di un governo permaloso che non sembra ancora capace di rispondere con stime e numeri alle osservazioni tecniche e politiche. E cercare di seguire la pallida luce dei fatti, almeno quelli che a fatica si intravedono dietro una nebbia di volenterose dichiarazioni di principio.

L’OGGETTO DELLA CRITICA di Confindustria non è tanto la riduzione dei rinnovi (da 5 a 4) e della durata dei contratti da termine (da 36 a 24 mesi), ma la loro combinazione con il ripristino della «causale» solo dopo 12 mesi di contratto. Il presidente Vincenzo Boccia ha chiesto a Di Maio di metterla dopo 24 mesi, tesi ribadita ieri da Panucci. Stando ai numeri attuali – oltre 2,5 milioni – si parla di una minoranza dei contrattisti a termine: solo il 4 per cento del totale (80 mila) supera la soglia dei 24 mesi. Quelli che arrivano a 12 mesi sono ancora meno. E infatti l’Inps di Boeri (domani è prevista la sua audizione), nell’ormai leggendaria e contestatissima (dal governo) «tabella della manina» prevedeva un impatto modesto sull’occupazione dipendente complessiva (0,05%), pari a 8 mila contratti all’anno non cumulativi. Come ogni stima va presa con le molle, potrebbe essere «peggiore», dicono gli industriali. O potrebbe essere riassorbita, come in fondo sostiene l’Inps. In un mercato a fisarmonica, dove la forza lavoro è governata come uno stock di merci in magazzino, entrambe le previsioni possono essere vere. Ma per Di Maio (e per il premier Conte: «Confindustria fraintende» ha detto) il dubbio sembra una lesa maestà. Considerata l’approssimazione dei numeri, e l’impatto reale sui contratti esistenti, basterebbe dire che l’allarme è largamente esagerato e non del tutto disinteressato. E invece Di Maio è andato avanti come un treno: «Sono gli stessi che gridavano alla catastrofe se avesse vinto il no al Referendum, poi sappiamo com’è finita. Non possiamo più fidarci di chi cerca di fare terrorismo psicologico per impedirci di cambiare» ha detto. Quanto al giudizio di Confindustria sul stop agli spot sui giochi d’azzardo («punisce il gioco compulsivo, non risolve la ludopatia, aumenta il gioco illegale): «Hanno le loro idee, ma non difendano il gioco d’azzardo – ha risposto Di Maio – Non posso sopportare che realtà come Confindustria, a cui sono iscritte le aziende di Stato, lo difendano. se sono iscritte a un sindacato dovrebbero pretendere un comportamento eticamente corretto rispetto a una piaga sociale come il gioco d’azzardo». Confindustria non è un sindacato, non ha «difeso il gioco d’azzardo» e quello di Di Maio è un messaggio. Anche questo è un modo di fare una trattativa.

IN VISTA C’È UNA ROTTURA? No. Per Conte: «Non ha nulla da temere». Di Maio ha ribadito contromisure per addolcire il malumore di Viale dell’Astronomia: in sede di conversione del «decreto dignità» ci saranno incentivi statali affinché il contratto a tempo determinato possa trasformarsi in tempo indeterminato. I soldi verranno dai «65 milioni di euro» a copertura del sussidio Naspi (stime dell’Inps sugli effetti della stretta sui contratti a termine). Il governo è così sicuro che la perdita degli 8 mila contratti non ci sarà («Nessun turn over dei precari» assicura Di Maio) da spostare il fondo anti-disoccupazione alle imprese. Quanto alla richiesta di Confindustria di chiarire la natura non incrementale dell’aumento di 0,5% del contributo per il rinnovo dei contratti (dopo i 12 mesi), giudicato «irragionevole e sproporzionato» (parliamo dello 0,5%!) la risposta potrebbe essere quella di restituire l’aggravio contributivo nel caso in cui l’impresa decida di convertire il rapporto a tempo indeterminato. Per Chiara Gribaudo (Pd) un dossier del Servizio Studi della Camera evidenzia che questo 0,5% già torna al datore e non c’è bisogno di variare la legislazione: «È l’ennesima partita di giro tra lo Stato e le imprese».

CON LA SPONDA della Lega vedremo se ci saranno variazioni su altri capitoli del timido decreto: il taglio delle indennità in caso di licenziamenti illegittimi (sul piano comparato, dice Confindustria, è quadruplo rispetto a Francia o Germania); il ridimensionamento delle norme sul lavoro in somministrazione e l’allarme da dimostrare sull’aumento dei «contenziosi». Allarme è per le imprese, non per i lavoratori.

SUI VOUCHER DI MAIO ha lanciato un messaggio alle imprese: stiano tranquille, saranno ripristinati. «Abbiamo solo il dovere di non causare abusi e questo dipenderà da come scriveremo le norme». Vasto programma, visto il precedente del «maninagate». Ma è certo che, con la Lega, «non c’è nessuna differenza di vedute». Almeno un elemento è chiaro: sui voucher la strategia «ecumenica» del populismo rischia di rompere con i sindacati che manifesteranno alla Camera dal 24 al 26 luglio.