Divisi sul palco, anzi su tre palchi, e riunificati a cena, pur senza risparmiarsi un po’ di veleno. Matteo Salvini almeno non se lo risparmia: «Lascio a Berlusconi il piacere di parlare di ministri e sottoministri. Io voglio parlare solo di Sicilia». Ma a Silvio Berlusconi, dal palco di Catania, la competizione interna interessa poco in questo momento. Il nemico è quello a cinque stelle e pur di colpirlo l’ex Cavaliere non risparmia nulla: «Votarli è un atto di masochismo. Sono un pericolo sia al governo nazionale che in Sicilia: dalla violenza verbale si passa presto a quella fisica. Siete già stati dominati tante volte, non è che ora volete farvi dominare da un certo Grillo?».

Un Berlusconi così non lo si sentiva dai tempi della denuncia del pericolo rosso alle porte. E’ perché l’uomo conosce il valore dei decibel nell’ultimo scorcio di campagna elettorale, ma è anche perché nel quartier generale azzurro la tensione si taglia a fette, la paura è tangibile. Forse tre o quattro mesi fa, quando la Sicilia veniva assegnata da tutti al Movimento 5 Stelle, il testa a testa sarebbe stato vissuto come un successo. Non ora. Non dopo settimane in cima ai sondaggi. Non dopo averci “fatto la bocca”. Oggi il secondo posto, sia pure di misura, sarebbe interpretato come una sconfitta secca.
I sondaggi continuano a dare Nello Musumeci in testa, ma con un margine che non permette di tirare il fiato. La settimana scorsa era di 2 punti percentuali, sotto il margine di incertezza fisiologico che è intorno al 3%. Sembra che negli ultimi giorni sia un po’ risalito, ma dare per facilmente vinta la partita sarebbe un azzardo, con stime che danno i votanti sotto il 50% e un voto d’opinione che potrebbe essere orientato sia dagli «impresentabili» piazzati in lista sia dalla nuova indagine per strage a carico di Berlusconi, la quarta dopo tre archiviazioni.

A questo punto vincere è obbligatorio, perché solo un successo tondo tirerà la volata, sposterà verso il centrodestra, secondo il classico effetto bandwagoning, le aree di votanti (e di clientela) ancora incerte. Per vincere il grande piazzista promette davvero di tutto: ponte sullo Stretto (che a Salvini non piace: «Mi interessano strade e ferrovie»), un «piano Marshall» e per le infrastrutture da 5-6 miliardi nel complesso, casinò a Taormina, aree a tassazione dimezzata e fasce di popolazione, tra cui i siciliani che scelgono di tornare nell’isola, detassate secche. C’è perfino il miraggio «già discusso con Musumeci» di eliminare il bollo auto!.

Berlusconi conclude dicendo che l’accordo per riproporre l’alleanza a tre sul piano nazionale sarà confermato nel corso della successiva cena (fissata per le 21 di ieri) con il capo leghista, Giorgia Meloni e il candidato Musumeci. Fra tante promesse roboanti e di molto dubbia realizzazione questa è la più concreta. L’accordo c’è davvero. I particolari non sono definiti come fa credere il propagandista di Arcore e Salvini assicura che di questo si parlerà solo da lunedì perché ora c’è solo la Sicilia. Ma l’intesa è fatta. I sondaggi danno il centrodestra fra il 36 e il 38% a campagna elettorale ancora da giocarsi e in quel campo si sa che Berlusconi, persino tirato e imbalsamato come è oggi, è un campione. La vittoria è possibile e nessuno dei tre soci ha voglia di sprecare l’occasione per eccesso di schizzinosità.
Ma qualsiasi parallelismo con le antiche alleanze di centrodestra, il Polo, la Casa delle libertà, il Pdl, è destituito di fondamento. Proprio la giornata di ieri nell’isola, con i comizi separati e il rendez-vous finale, lo dimostra. «Siamo partiti diversi, con elettorati diversi. Non siamo mai stati su un palco di comizio insieme. Non c’era ragione per farlo stavolta e inoltre la divisione, in questo caso, è un valore aggiunto», spiega una dirigente azzurra.

Si tratta sin dall’inizio del matrimonio d’interesse tra partiti che «si sopportano», come dicono i forzisti, ma nulla di più. Se il colpaccio riuscirà governeranno insieme e starà agli elettori decidere con un voto in più in quali mani deporre lo scettro del comando: se in quelle di Salvini, che anche ieri si è dichiarato «disponibile» a fare il presidente del consiglio anche se in realtà considera l’ipotesi tanto sgradita quanto remota, o in quelle del tre volte premier, sempre che la sentenza di Strasburgo glielo permetta.

Se invece la maggioranza non sarà raggiunta i tre si saluteranno un secondo dopo le elezioni per giocare ciascuno la propria partita. Prima però bisogna vincere le elezioni, e per vincere le elezioni bisogna superare il Movimento 5 Stelle domenica prossima.