Sedotto da una donna bella e straniera agente del Mossad, quindi ricattato. No, non parliamo della vicenda di Mordechai Vanunu, il tecnico nucleare israeliano che ha pagato con 18 anni di carcere le sue rivelazioni al Sunday Times sulla produzione di armi nucleari da parte di Israele. Fu una «bella bionda», come scrissero poi i giornali, a far cadere in trappola Vanunu. E non parliamo neppure di una spia alla ricerca di informazioni di carattere militare. Ci riferiamo a Ziad Ahmad Itani, ex giornalista, sceneggiatore e drammaturgo libanese, e delle ragioni che hanno o avrebbero spinto il servizio segreto israeliano a reclutarlo nonostante non rientrasse nel profilo di suo interesse. Secondo la sicurezza interna libanese, Itani dopo l’arresto avvenuto il 24 novembre, ha confessato le sue responsabilità. E nel suo appartamento a Beirut sono ritrovati quattro computer e cinque cellulari con all’interno delle «informazioni segrete». Il suo arresto fa seguito a quello avvenuto in un hotel di Beirut di una donna di 31 anni, di cui la stampa libanese riporta solo il nome, Jennah, dell’associazione “Insieme per la Palestina”. È accusata di essere una “risorsa” gestita da un agente del Mossad, identificato dai servizi libanesi come Hossam Safadi.

La tv qatariota al Jazeera e il quotidiano al Akhbar hanno rivelato per primi al pubblico l’andamento dell’interrogatori e delle confessioni di Ziad Itani. L’ex giornalista è stato adescato da una donna, Colette, di nazionalità svedese, che si era presentata sui social come un’attivista dei diritti umani. I due ad un certo punto decidono di incontrarsi. Il Mossad li riprende mentre sono a letto e ricatta Itani che accetta di spiare per conto di Israele. Dopo l’arresto l’uomo ha prima detto di averlo fatto per soldi. Poi ha spiegato che a spingerlo è stata in realtà la minaccia di far arrivare alla moglie le immagini della relazione avuta con la donna svedese e di aver temuto di perdere la sua famiglia. Chi doveva sorvegliare Itani, cosa doveva riferire al Mossad? Da ciò che si è saputo non sembrava in grado di arrivare ai vertici della politica. Aveva qualche amicizia solo nell’entourage di un paio di ministri. Insomma niente di così significativo per il Mossad che di solito punta a bersagli grossi nel campo militare e in quello della sicurezza.

Pierre Abi Saab, vice direttore di Al Akhbar, sostiene che il caso Itani è parte di nuova strategia d’intelligence, volta alla normalizzazione di Israele «nella cultura politica araba». Tel Aviv, aggiunge Abi Saab, avendo ora la collaborazione dietro le quinte di un buon numero di Paesi arabi, in particolare delle monarchie del Golfo, oggi lavora su come cambiare nella regione e nel resto del mondo la narrazione su Israele. Per questo al Mossad sarebbe stato l’incarico di concentrarsi anche sul reclutamento di personaggi del mondo culturale, dello spettacolo e del cinema. Gente come Itani, con tante relazioni nella società civile e del mondo dell’arte. In Libano l’ex giornalista è noto anche per il suo percorso politico a dir poco particolare. È stato prima un sostenitore dell’alleanza “8 Marzo”, che comprende Hezbollah e il principale partito cristiano, la Corrente dei Patrioti Liberi, fondato dal presidente Michel Aoun. Poi è diventato un nazionalista nasseriano, infine con un salto di 180 gradi è passato all’alleanza “14 marzo”, quella del premier Saad Hariri e dei suoi alleati.

Qualcuno sostiene che Itani ha agito su ordine del Mossad qualche settimana fa difendendo artisti e registi libanesi accusati di tradimento per essersi recati in Israele, uno Stato nemico (agli israeliani è ugualmente vietato andare in Libano). Insomma, dicono in Libano, in ragione della sua notorietà, Itani aveva il compito di promuovere una immagine positiva di Israele e di riferire informazioni su esponenti della cultura e dell’arte libanesi che promuovono o partecipano all’estero ad attività politiche e sociali contro lo Stato ebraico. Una ipotesi forse non lontana dalla realtà se considera che il governo israeliano sta investendo milioni di euro nella lotta agli attivisti del Bds e alle organizzazioni e associazioni che denunciano le sue politiche nei confronti dei palestinesi.