Tra domenica notte e lunedì mattina in Israele c’è chi ha festeggiato l’attacco su una tendopoli di Rafah che ha ucciso almeno 45 palestinesi. Su canali Telegram con centinaia di migliaia di iscritti, sono apparse false réclame di shawarma sull’immagine del papà che tiene in braccio il corpo del figlioletto, ustionato e decapitato.

ALTRI UTENTI l’hanno rilanciata definendo il bambino l’agnello sacrificale di Yom Kippur. Le celebrazioni non sono rimaste confinate su Telegram. Due noti giornalisti israeliani, volti di Channel 12 e 14, si sono fatti gioco del rogo a Rafah paragonandolo al tradizionale falò per la festività di Lag Ba’Omer, che cadeva proprio domenica sera.

«Il falò principale quest’anno è a Rafah», ha scritto Yinon Magal, conduttore del programma The Patriots, sui propri account social sopra all’immagine delle tende in fiamme. Naveh Dromi ci ha scritto su: «Buone feste». I due giornalisti hanno poi rimosso i post.

C’è chi lega simili reazioni agli eventi accaduti qualche ora prima dell’attacco su Rafah: gli otto razzi lanciati da Hamas verso Tel Aviv. Domenica sui media israeliani emergeva tutto il disappunto, se non la critica aperta all’esercito e al governo che da mesi dicono – giustificando così il prosieguo dell’offensiva contro la popolazione di Gaza – di aver smantellato l’infrastruttura missilistica di Hamas. E invece. Hamas non lanciava razzi da quattro mesi, nonostante la classe dirigente politica e militare e i servizi dicessero il contrario.

Domenica non solo ne ha lanciati otto, ma li ha fatti arrivare a nord di Tel Aviv. Il problema, scrivevano ieri le cronache israeliane, non è tanto la dimensione del danno provocato (tre sono stati abbattuti da Iron Dome, quattro sono caduti in aree aperte e uno ha provocato due feriti lievi a Herziliya) ma l’elemento simbolico.

Otto mesi dopo, Hamas non è stata smantellata: opera da Rafah ormai circondata dall’esercito e sotto bombardamenti continui ed è riapparsa a nord e nel centro, dove Tel Aviv diceva di averla completamente eliminata lo scorso gennaio dopo un’invasione via terra che ha lasciato mezza Gaza in macerie. «Vediamo parti di Gaza che Israele aveva ripulito da Hamas e dove Hamas sta tornando – aveva detto in un’intervista alla Cbs di metà maggio il segretario di Stato statunitense Antony Blinken – (Un’offensiva su Rafah) lascerà a Israele il peso di una guerriglia duratura perché tanti uomini di Hamas resteranno a prescindere da cosa (Israele) farà a Rafah».

NON LO DICE solo Blinken, tra gli analisti israeliani sono in tanti ad accusare Netanyahu di non avere né una strategia militare né un’idea di dopoguerra. Il lancio di razzi di domenica sembra confermare le loro analisi. Se il governo israeliano ha utilizzato quel lancio per rimandare al mittente le richieste di interrompere l’offensiva, l’opinione pubblica non la vede esattamente allo stesso modo. Almeno non tutta.

La strategia militare non sta producendo gli effetti dichiarati, liberare gli ostaggi ancora in mano ad Hamas o distruggere il gruppo islamico. Così, la strage di Rafah ha spostato di nuovo l’attenzione e acceso quel pezzo di società che vuole proseguire la guerra a tutti i costi, che invita al massacro di massa, che festeggia lo stop agli aiuti. E che indossa anche le uniformi dell’esercito.

Venerdì è diventato virale il video di un riservista di stanza a Gaza che, mascherato, minaccia il ministro della difesa Yoav Gallant per le pressioni mosse a Netanyahu sulla strategia post-guerra. Non obbediremo ai tuoi ordini, è il messaggio del soldato che dice di rappresentare 100mila riservisti contrari a consegnare Gaza all’Autorità palestinese o a un’entità araba. «Gallant, dimettiti. Non ci può dare ordini. (Netanyahu), i riservisti ti appoggiano, vogliamo vincere. È l’opportunità di una vita». L’esercito ha aperto un’inchiesta sul video, mentre Netanyahu e suo figlio Yair lo hanno rilanciato.