Che cosa è uno «scudo umano»? La tragica mattanza di civili in corso nella striscia di Gaza in questi giorni impone con urgenza di porsi questa domanda. Nel gergo militare, e nella lingua corrente che lo assimila senza troppo interrogarsi, si tratta di civili, preferibilmente i più inermi, schierati intorno a un obiettivo militare per dissuadere dal colpirlo.

O meglio, per fare in modo che chi, nonostante tutto decida di colpirlo, come puntualmente avviene, si macchi di un orribile crimine di guerra da spendere poi sul tavolo della propaganda. A partire da questa cinica definizione si aprono due possibilità. Nella prima gli «scudi umani» vengono costretti a svolgere questa funzione e rientrano dunque a pieno titolo nella categoria degli «ostaggi».

Nel secondo caso si schierano volontariamente e rientrano, per questo, quella dei «complici». In entrambi i casi ci sono poche possibilità di scampo, a meno che gli «ostaggi» non provengano dalle file dell’aggressore, nel qual caso si aprono margini di trattativa.

Questo brutale punto di vista poggia sul fatto che la funzione di «scudo» vien fatta ampiamente prevalere sull’essere umano che la incarna. Senza contare gli «effetti collaterali», ossia le vittime innocenti, che nessuna «chirurgia» bellica riesce a risparmiarsi. Nella Striscia di Gaza, dalla densità demografica più alta al mondo, le circostanze si fanno, poi, ancora più drammatiche. I civili che, nonostante gli avvertimenti dell’esercito israeliano un minuto prima di premere il grilletto, non si allontanano dai luoghi della loro (grama) esistenza quotidiana fanno spesso scudo non già a un bersaglio (questo o quel capo di Hamas) che il più delle volte ha preso il volo per tempo, ma al proprio habitat, al proprio vicinato, alle proprie famiglie e abitazioni.

E questo habitat presenta, nell’inverosimile moltitudine (densità) di quel luogo, una contiguità inevitabile tra miliziani e civili, tra esponenti politici e comuni cittadini, tra postazioni militari e strutture civili. Gaza è il risultato invivibile di una ingegneria infernale.

Forse uno scenario con tutta evidenza paradossale può servire a rendere l’idea della situazione. Immaginiamo che si voglia combattere la camorra facendo intervenire l’aviazione contro le abitazioni dei capiclan nella «terra dei fuochi» o nei comuni della fascia vesuviana. Quanti «scudi umani» ci andrebbero di mezzo? Ci vorrebbe una buona dose di disprezzo «etnico» per far digerire all’opinione pubblica una simile esibizione.

Lo «scudo umano» non è che l’invenzione e il pretesto di una strategia militare che non accetta vincoli di natura umanitaria, che non tollera limitazioni di nessun genere nel perseguimento dei propri obiettivi sul campo, laddove ogni ostacolo è considerato un arma del nemico. E che, nella sostanza come nella pratica, non fa distinzione tra civili e combattenti.

Un atteggiamento «disumanizzante» che non manca però di riprodursi prontamente dall’altra parte. Il portavoce di Hamas Sami Abu Zuri dichiara perentorio: «Adesso tutti gli israeliani sono diventati obiettivi legittimi». Con il che il cerchio dell’orrore «legittimo» si chiude. E si proietta nel futuro.