I gravi fatti giamaicani hanno attratto l’attenzione dell’International clinic human rights (Ichr), il team in difesa dei diritti umani della Loyola University di Los Angeles, diretto dal prof. Cesare Romano. Il cui scopo è raccogliere un numero di casi sufficienti da presentare alla Commissione inter americana dei diritti umani (Iachr), visto che la Giamaica ha ratificato la Convenzione degli stati americani.

Per capire meglio la dinamica degli eventi dal punto di vista degli organi inquirenti giamaicani, una preziosa interlocutrice di Romano è stata Paula Llewellyn, procuratrice dello Stato, alla quale abbiamno rivolto alcune domande.

Cosa impedisce una migliore fluidità dei procedimenti giudiziari nei confronti dei criminali e degli agenti incriminati?

È soprattutto un problema di «contenitore»: il numero degli omicidi relativi solo a quest’anno, supera di almeno tre volte la capienza delle Corti disseminate lungo l’isola. Mi riferisco a tutti i casi di omicidio, non solo quelli extra giudiziari. Solo nella Corte di St.Ann, ci sono allo stato attuale 100 casi di omicidio in sospeso per mancanza di spazio. Riguardo ai casi dei poliziotti, un altro problema è quello delle continue opposizioni che gli avvocati della Difesa interpongono alle deposizioni dei testimoni. I giudici nella maggioranza dei casi accettano senza distinzione questi paletti, e i procedimenti giudiziari proseguono con lentezza esasperante.

Con quali tempi avviene la consegna di prove e indizi ai vostri uffici?

Terribilmente lunghi, per noi e Indecom, e spesso i corpi del reato arrivano incompleti; ad esempio se dal reparto forense della polizia ci giunge l’arma del delitto che appartiene a un agente sotto inchiesta, non sempre è corredata da una dichiarazione scritta, per cui il caso rimane in sospeso anche per anni. Lo stesso vale per le dichiarazioni dei testimoni che poi si tirano indietro: il cittadino ha paura, non si fida delle istituzioni, e anche se in possesso di elementi importanti il più delle volte rinnega le deposizioni precedenti o si rifiuta di farne; questo accade sia nel caso di processi a delinquenti abituali che ai responsabili di police killings. Il timore di rappresaglie regna sovrano.

Allo stato attuale, qual è la situazione del Programma di protezione dei testimoni ?

È di pertinenza del Ministero della sicurezza nazionale. Oltre alla perenne scarsità di fondi, che crea un ostacolo pratico al mantenimento dei testimoni sotto protezione, ci sono anche le difficoltà logistiche, legate agli spostamenti delle persone, su un territorio così piccolo.

Com’è il comportamento dei gradi superiori nei confronti dei poliziotti sotto inchiesta? Esiste una collaborazione con gli organi inquirenti?

È un altro grave problema: spesso non possiamo considerare i poliziotti incriminati come dei sospetti veri e propri, per il ritardo o addirittura l’occultamento degli elementi probatori, avallati dai loro superiori, che influenzano anche le deposizioni scritte, trasformando questi casi in ordinari episodi di legittima difesa, con conflitti a fuoco inesistenti e armi non appartenenti alle vittime fatte ritrovare accanto ai cadaveri.

Quali sono i casi di police killings passati a sentenza definitiva di giudizio?

Abbiamo ottenuto una sentenza di ergastolo per l’agente Edwards, riconosciuto colpevole dell’omicidio premeditato della fidanzata (e madre dei suoi due figli), con l’aggravante di aver scritto una lettera per far credere al suicidio Ma quel giorno non era in servizio.

* in collaborazione con il team Ichr della Loyola University