Usare Guantanamo per la detenzione di oltre 14.000 migranti arrivati a Del Rio. Questa la decisione presa dal governo Biden secondo quanto ha scritto, per primo, axios.com. Diversi organi di stampa riportano che il centro di detenzione, limitrofo alle aree carcerarie dove ancora sono rinchiusi 39 prigionieri della cosiddetta guerra al terrorismo, avrebbe la capacità di ospitare tra 120 e 400 persone, e la «popolazione giornaliera stimata» al suo interno non sarà inferiore a 20.

È LA RISPOSTA politica degli Stati uniti alle polemiche suscitate dalle immagini della polizia di frontiera a cavallo che frusta i migranti. Non è chiaro se Washington abbia intenzione di trasferire anche i «senza documenti» nella base militare, dove già l’esecutivo guidato da George H.W. Bush, tra il 1991 e il 1993, sotto la supervisione dell’allora procuratore generale William Barr, aveva rinchiuso circa 12.000 richiedenti asilo haitiani.

«È MOLTO PREOCCUPANTE che l’amministrazione possa prendere in considerazione l’utilizzo di Guantanamo per detenere richiedenti asilo, poco importa se haitiani o di altri paesi», ha detto a Nbc News Wendy Young, presidente del gruppo di difesa degli immigrati Kids in Need of Defense. E con le dimissioni di Daniel Foote, inviato speciale degli Stati uniti ad Haiti, la crisi al confine sembra destinata ad aggravarsi ulteriormente. In una lettera destinata al Presidente, e inviata anche ai quotidiani, il funzionario dichiara di non volere essere associato alla scelta, definita «disumana» e «controproducente», di deportare migliaia di rifugiati nel loro paese d’origine, vista anche la situazione interna all’isola.

Fernando Castro Molina, consulente migratorio per il Centro America, aggiunge che nelle ultime settimane è aumentato il numero delle deportazioni di migranti dagli Usa: 5.000 per via aerea e 28.000 via terra.
Dopo l’arrivo di migliaia di caraibici a Tapachula (ribattezzata da attivisti e migranti «città prigione»), nel sud del Messico, a causa del caos esploso ad Haiti con l’omicidio del presidente Moise (lo scorso 7 luglio ), il terremoto e gli uragani Eta e Lota, si è assistito ad una nuova trasformazione dei flussi migratori. Se infatti le carovane migranti avevano sostituito le partenze in solitaria, ora la repressione delle carovane ha portato uomini e donne ad organizzarsi in piccoli gruppi autonomi cambiando anche traiettoria di viaggio: non si muovono più verso Tijuana o Mexicali, ma verso il Coahuila. Senza il clamore della partenza collettiva, i riflettori della stampa, del dibattito politico, la mediazione dei “leader” di carovana, ma con la tutela del gruppo agile, compatto e piccolo, sono riusciti a superare i blocchi di polizia migratoria e Guardia Nazionale in Messico e arrivare a Del Rio, punto di contatto tra lo stato del Coahuila ed il Texas. Il cambio di strategia migratoria ha sorpreso le autorità di Guatemala, Messico e Stati uniti. È bene ricordare che tra gli espulsi la maggioranza sono uomini, donne e minori provenienti dal Centro America.

A TAPACHULA, ormai divenuto il luogo centrale del confinamento dei migranti nel viaggio verso gli Usa, nell’ultima settimana si sono riversati nelle strade circa 800 migranti haitiani al giorno, mentre almeno 12.000 sono quelli che si sono messi in viaggio. Nella piccola città chiapaneca si contano non meno di 125.000 migranti intrappolati dalla repressione poliziesca a fronte di una popolazione locale di poco meno di 200.000 persone.
Il rapporto tra Haiti e Stati uniti, in merito alle migrazioni, è certamente particolare e per capirlo occorre guardare indietro, per lo meno al primo governo Obama. Nel 2010, dopo un grave terremoto, il governo statunitense concesse ai cittadini haitiani, per diversi anni, la protezione temporanea e ciò spinse migliaia di persone a partire in cerca di fortuna. Tuttavia, nel 2016 le politiche “obamiane” si indurirono e l’ingresso negli Usa divenne più complesso. Con l’arrivo di Trump migliaia di uomini e donne di Haiti hanno dovuto fermarsi in Messico e costruire delle vere e proprie comunità, come quella di Tijuana che conta alcune migliaia di persone. I flussi migratori dalle isole caraibiche, così come dai paesi a sud del Rio Bravo, non sono certo novità così come non lo è la violenze scomposta con cui i governi Usa rispondono a chi scappa dalle macerie sociali, economiche e ambientali imposte dal neoliberismo e dalle politiche statunitensi.