Le fazioni erano in campo e i motivi della contesa squadernati. Tra Movimento 5 Stelle e piattaforma Rousseau mancava solo il casus belli.

Ieri è arrivato. Davide Casaleggio utilizza il Blog delle stelle, organo del M5S gestito dall’Associazione Rousseau, per annunciare che un documento programmatico intitolato «ControVento» verrà divulgato il prossimo 10 marzo. «Non è più tempo di avere sogni moderati – recita il post – È tempo di confronto, di idee ribelli, di sogni che non siano bollati di utopia da chi non ha capacità, voglia o coraggio di realizzarli». Il testo attacca i governisti e il nuovo corso, voluto da Beppe Grillo. Parla di «anteporre le idee alle persone, le riforme alle poltrone».

Il resto dei 5 Stelle ne approfitta per scaricare Casaleggio, accusandolo di voler fondare un suo partito. Roberta Lombardi, ad esempio, parla di un «malsano e volutamente opaco intreccio di competenze e ruoli tra M5S e Associazione Rousseau». Le chat dei parlamentari esplodono. In molti ipotizzano la cancellazione di massa da Rousseau. Ma sottolineano il paradosso: l’iscrizione alla piattaforma è l’unica forma di adesione al M5S. «Se io mi disiscrivo da una associazione perché, in automatico, sono fuori dal mio gruppo politico?», chiede un deputato.

Il potere dei Casaleggio, Gianroberto prima e Davide poi, dura solo fino a quando regge la condizione attorno alla quale si è strutturato: gli uffici della loro azienda sono gli unici a fornire visioni d’insieme, supporto organizzativo, strumenti comunicativi a una massa di eletti che non ha altro riferimento. Ma quando il M5S diventa il primo partito e va al governo, a far da contrappeso alle strategie d’impresa di Milano c’è la pletora di assistenti, comunicatori, uffici stampa e funzionari che da Palazzo Chigi in giù si agita nei palazzi romani e che inizia ad accumulare esperienze e scaltrezze che vanno oltre le visioni futurologiche della Casaleggio Associati.
Davide può giocare ancora qualche carta. Gestisce la cassaforte dei dati, è l’unico ad avere in mano la lista degli iscritti e lo statuto del M5S gli appalta funzioni decisive. Ma viene percepito dalla grande parte degli eletti come un corpo estraneo cui versare un obolo di 300 euro al mese. Non ha toccato palla in occasione degli Stati generali dello scorso novembre, per organizzare i quali interviene una società di consulenza esterna. All’inizio dello scorso febbraio, partecipa, ma senza proferire parola, alla riunione in cui Grillo convince i suoi ad entrare nel governo Draghi e a rifondare il M5S in nome della «transizione ecologica». E non c’è al vertice che Grillo organizza con Giuseppe Conte per consegnargli le chiavi del M5S.

Nel frattempo tesse una rete parallela tentando di rilanciare l’immagine e la funzione di Rousseau, che in un misto di enfasi e gergo iniziatico veniva chiamato «il sistema operativo del Movimento 5 Stelle» e che da tempo è ormai evidentemente una scatola vuota, un feticcio tecnopolitico utile a mantenere la connessione con le origini ma inservibile. La zappa sui piedi, probabilmente, Casaleggio se la tira all’inizio di questa legislatura, quando sulla scia del boom elettorale che consegna ai 5 Stelle la palma di primo partito dice al Washington Post che nel giro di poco tempo la piattaforma Rousseau avrebbe superato il milione di iscritti e sarebbe diventata il più importante esperimento di democrazia diretta del pianeta. Ma arriva ad appena a un decimo della soglia promessa. E pure quelle centomila persone disertano la piattaforma, se non per le consultazioni online più vistose. Gli esperti e gli analisti che nel corso del tempo parlano con lui, a volte non privi di slanci propositivo, ne traggono la stessa disarmata conclusione: la sua creatura digitale è priva di una visione strategica e pecca di diverse carenze tecniche.

Fino allo strappo. Lo seguono alcuni degli espulsi. Grillo è quasi sprezzante: «Se qualcuno sapesse fare ancora meglio di noi, ben venga. Ma dovrà convincere gli Italiani. Intanto facciamo noi gli apripista».