Un processo durato quattro settimane e un giudizio scontato. Il primo aprile era una data attesa e temuta per sette noti attivisti di Hong Kong, tra cui il magnate dei media locali Jimmy Lai e il «padre della democrazia» Martin Lee.

La giudice Amanda Woodcock della corte distrettuale dell’ex colonia britannica li ha ritenuti colpevoli di aver organizzato e preso parte a una manifestazione non autorizzata il 18 agosto 2019, quando circa un milione e 700mila persone marciarono pacificamente nelle strade della città, andando contro gli ordini della polizia.

I NOMI DEI SETTI ACCUSATI sono quelli di personalità di spicco del movimento democratico di Hong Kong: oltre al tycoon Lai e al fondatore del Partito Democratico Lee, ad ascoltare il verdetto c’erano anche gli ex legislatori Margaret Ng e Cyd Ho Sau-lan, l’avvocato Albert Ho Chun-yan, e gli attivisti Lee Cheuk-yan e Leung Kwok-hung. Per lo stesso caso, invece, l’ex politico pro-democrazia Au Nok-hin e l’ex parlamentare Leung Yiu-chung si erano precedentemente dichiarati colpevoli.

La giudice non ha voluto accettare le tesi di innocenza mosse dalla difesa, secondo cui i sette leader del movimento democratico si sono uniti alla manifestazione organizzata dal Civil Human Rights Front a Victoria Park contro il progetto di legge sull’estradizione per attuare un piano di dispersione della folla, dal momento che la polizia non ne aveva uno. Gli organizzatori della manifestazione dell’agosto di due anni fa avevano ottenuto il permesso dalle autorità di riunirsi nel parco centrale della città, ma non il via libera per marciare tra le arterie dell’ex colonia britannica e raggiungere gli uffici governativi a pochi chilometri di distanza.

L’ACCUSA, INVECE, ha riconosciuto il ruolo dei sette attivisti nell’organizzazione e nella guida del corteo, citando la presenza di cartelli e striscioni contro la legge sull’estradizione nelle mani dei manifestanti accusati. Per Woodcock, che ha accolto le prove dell’accusa, è stata «un’assemblea pianificata non autorizzata» e gli organizzatori hanno «deliberatamente infranto la legge».

Sebbene la manifestazione sia stata pacifica, i sette rischiano fino a cinque anni di carcere ma la condanna definitiva sarà pronunciata il prossimo 16 aprile. Il giudice ha concesso la libertà su cauzione a cinque imputati, mentre Lai e Leung Kwok-hung rimangono in custodia cautelare: i due stanno affrontando un altro processo per la violazione della legge sulla sicurezza nazionale.

Per le prossime due settimane i cinque imputati, che hanno dovuto consegnare i loro documenti di viaggio alle autorità, non possono lasciare il territorio di Hong Kong. Arrestati nell’aprile 2020, erano consapevoli che avrebbero perso contro ciò che definiscono una persecuzione politica guidata dalla macchina giuridica dell’ex colonia britannica.

IL VERDETTO DI IERI è l’ultima mossa dell’amministrazione locale per sedare e ridurre il movimento di opposizione, che ha conosciuto la sua massima espressione nel 2019. Pechino ha represso ancora più duramente il dissenso locale con l’imposizione della legge sulla sicurezza nazionale lo scorso anno, con l’obiettivo ufficiale di arrestare chiunque fosse accusato di compiere «attività terroristiche», atti di «sedizione, sovversione e secessione» e «collusione con forze straniere». La controversa norma, secondo i dati della polizia di Hong Kong, ha portato a un centinaio di arresti di attivisti di alto profilo della città.