Il nichilismo, scriveva Nietzsche, non è altro che il metodo della decadenza, è cioè il processo di disgregazione dei valori che si impone quando lo sfaldamento degli istinti vitali ha smesso di essere solo una condizione dell’esistenza individuale ed è diventato il dato dominante di un’epoca della storia. Di fronte all’esaurirsi di tutto ciò che rappresenta un valore per la vita, restano soltanto possibilità di esistenza residuali declinate in chiave fatalistica o eroica: la prima possibilità qualifica la figura del nichilista attivo, che favorisce e accelera l’esaurimento dei valori dimostrandone l’inutile vuotezza.

La seconda distingue invece il nichilista passivo, colui che pur consapevole dell’impossibilità di scorgere anche solo in uno di quei valori l’espressione compiuta di una volontà di affermazione dell’istinto vitale, si arrocca disperatamente fra i bastioni della tradizione e resiste all’evidenza del nulla incombente simulando una solida fiducia in ciò che già da tempo conduce un’esistenza di simulacro o di fantasma.

Trenta incalcolabili anni

La prima grande rappresentazione narrativa di questa condizione dell’individuo moderno, posto davanti all’alternativa fra l’entusiastica bramosia del vuoto e la tragica resistenza all’inevitabile affermarsi di quel vuoto medesimo, si trova nei Buddenbrook di Thomas Mann e si dipana attraverso la storia della contrapposizione fra Christian e Thomas Buddenbrook, fra il nevrotico dissacratore di ogni eredità del passato e il tragico difensore di una tradizione familiare che pure, meglio di chiunque altro, sa indifendibile.

Nella trilogia dei Sonnambuli scritta fra il 1930 e il 1932, del cui primo volume, 1888 – Pasenow o il romanticismo, Adelphi pubblica ora una nuova, eccellente traduzione di Ada Vigliani (con un saggio di Milan Kundera, pp. 230, € 20,00) Broch ha dato la versione forse più profonda di questa condizione umana nell’età del nichilismo. I protagonisti delle tre parti di cui si compone l’opera intera, Pasenow, Esch e Huguenau, sono i prodotti di questa interminabile età dell’impotenza: un’età che racchiude trent’anni anni (dal 1888 al 1918) ma sta per un’unità di tempo incalcolabile e indefinita, che potrebbe non avere inizio né fine, poiché nulla può intervenire a mutarne le leggi. Anche questa, peraltro, è un’idea che Broch riprende da Nietzsche: il nichilismo, corrodendo qualsiasi valore, aggredisce ogni tentativo di costituire un argine alla decadenza, rendendo vano qualsiasi atto di pura e semplice volontà positiva.

Non è del resto un caso che l’anno in cui ha inizio la storia narrata dal romanzo coincida con l’ultimo della vita cosciente dello stesso Nietzsche: è una data simbolica che sembra indicare il momento a partire dal quale la diagnosi di ciò che la trilogia descrive è diventata possibile.

Pasenow, il protagonista del primo romanzo, vive infatti già pienamente la condizione di irresolutezza e impotenza che caratterizza l’uomo decadente, privo di una qualsiasi certezza costitutiva. Il senso dell’onore ha ucciso il fratello, la famiglia lo ripudia tacitamente senza arrivare a farlo in modo esplicito, l’eros si è ridotto a una faccenda equivoca o di convenienza e la sua stessa carriera militare è una tradizione stancamente portata avanti.

Il «romanticismo» a cui allude il titolo del romanzo è diventato una maschera ideologica dei vicoli ciechi di cui si compone l’insuperabile labirinto della decadenza e il sentimento è l’inadeguato strumento per mezzo del quale Pasenow cerca di orientarsi nella vita, finendo per imbrigliarsi in situazioni che non hanno vere vie d’uscita. È innamorato di Ruzena, un’aspirante attrice di varietà che si barcamena nel mondo dei locali notturni, ma esita a respingere la volontà familiare che lo vuole sposo della più «adeguata» Elisabeth, non meno vaga e insicura di lui. Nell’incertezza è fatalmente attratto dal razionalismo semplificatore dell’amico Bertrand di cui riesce a distinguere il mefistofelico cinismo, senza tuttavia avere i mezzi per sbarazzarsene: nella confusione anche una bussola fasulla è meglio di niente.

Il vecchio Pasenow sarebbe un padre perfettamente kafkiano se la morte in duello del figlio maggiore non lo avesse piegato, ragion per cui la tirannia che esercita sulla famiglia e soprattutto sul figlio assume un tratto patetico e senile che segna il suo destino. Questo scenario narrativo è il paesaggio epocale delineato dal romanzo, e non per nulla Pasenow ha, a un certo punto, l’intuizione che proprio il paesaggio trapassi nelle persone diventandone l’essenza più autentica.

In poco più di 200 pagine, Broch ha costruito un perfetto romanzo dostoevskijano in cui, però, non ci sono più verità trascendenti che possano rivelarsi all’improvviso con effetto salvifico. L’unico trionfatore in scena, alla fine, è Bertrand – la descrizione del cui destino è rimandata al secondo romanzo – ma solo perché è disposto a mutare continuamente i suoi obiettivi e i suoi desideri, assecondando con gli esercizi logici del proprio disincanto intellettuale la casualità degli eventi e la volubilità dei sentimenti altrui. Anche il suo razionalismo, d’altra parte, è una maschera non meno usurata delle vuote tradizioni abbracciate senza entusiasmo dagli altri personaggi del romanzo.

Esploratore del razioide
Come scrive Milan Kundera con la consueta, straordinaria lucidità nelle «note di lettura» in coda al volume, Broch non è certo un fanatico della razionalità, condividendo in questo una vocazione originaria della narrativa del modernismo europeo. I suoi romanzi, piuttosto – proprio come quelli dei suoi grandi modelli, da Joyce a Thomas Mann, da Musil a Kafka – cercano di illuminare l’aleatorio elemento casuale, contingente o occasionale che spinge gli eventi in una direzione anziché in un’altra, lasciando a colui che ne è l’apparente motore il dubbio sul perché delle sue decisioni e delle sue scelte.

Broch è, insomma, un esploratore – forse il più profondo che la letteratura di lingua tedesca abbia generato – di quella sfera che Musil chiamava «il razioide»: l’elemento non ancora razionale e non del tutto razionalizzabile, l’impulso, l’istinto o il moto sentimentale che accompagnano e disorientano il calcolo della ragione e lo mettono fuori gioco decidendo il corso delle cose.

Impareggiabile nell’osservare e analizzare le associazioni inattese, le pulsioni incongrue, i sogni, le suggestioni che finiscono per decidere le azioni e i destini degli uomini, Broch sa che la comprensione della storia e del mondo dipende dalla capacità di saper descrivere e analizzare nei suoi elementi costitutivi questa sfera opaca e ambivalente.

Valori in ombra
Nella loro apparente ordinarietà, i suoi personaggi sono figure fatali che prendono decisioni apparentemente inspiegabili, ma collegate da mille fili sottili a grandi tendenze intellettuali e politiche della storia: il romanticismo, l’anarchia, il realismo. È difficile per chi abbia un’idea precostituita di queste realtà riconoscerne i contorni nelle storie dei tre sonnambuli Pasenow, Esch e Huguenau. Ma la scommessa di Broch è quella di mostrare attraverso i suoi personaggi che i nuovi universali, i valori generati dall’età della decadenza e destinati a muovere le masse del futuro prendendo forma di ideologia o di movimento di pensiero, si annidano nell’ombra, nella sfera demoniaca di quella quasi razionalità che sospinge ciecamente gli individui e può diventare in qualsiasi momento il luogo d’origine di impulsi, passioni e deliri collettivi.