A due mesi e mezzo dall’inizio dell’offensiva su Tripoli il generale Haftar sembra essere arrivato a un passo dalla conquista della città.

La percezione potrebbe essere soggettiva, esplicitata con l’affermazione «la situazione a Tripoli è eccellente» in una lunga intervista in inglese pubblicata giusto due giorni fa dal suo giornale di riferimento, The Libyan Address Journal. Ma a ben vedere potrebbe esserci una realtà oggettiva dietro il suo trionfalismo se anche il sito d’inchiesta Africa Intelligence, di solito non benevolo con le pretese della Cirenaica, scrive che, dopo la recente apertura del secondo fronte a Sirte, le forze della città-Stato di Misurata, che si sono assunte il ruolo di principali difensori della capitale con la controffensiva «Vulcano di rabbia», sono in difficoltà a Tripoli. Secondo lo stesso giornale, si starebbero già preparando, in caso di disfatta, a trasferire a Misurata il cuore del potere libico, ovvero la sede della Banca centrale. E quindi l’ufficio del suo governatore, quel Sadiq al Kabir, che è l’obiettivo segreto dell’offensiva di Haftar in quanto da lui, membro della Fratellanza musulmana, dipende la distribuzione dei proventi dell’export petrolifero e con esso il finanziamento delle milizie di Tripoli, obiettivo dichiarato dell’offensiva del «feldmaresciallo di Bengasi».

Un’aspra battaglia si è svolta ieri mattina intorno all’aeroporto internazionale e dopo sei ore di intensi combattimenti con armi pesanti i generali sul campo del Libyan national army (Lna), l’esercito di Haftar, si sono detti pronti ad avanzare nel centro urbano, cioè in direzione del mare, lasciando alla Mezzaluna rossa il compito di rimuovere 40 cadaveri dopo aver preso prigionieri 15 miliziani I comandanti aspettano dunque un via libera politico e Haftar, per prepararne le condizioni, ha rilasciato la sua lunga intervista, nella quale rassicura l’Europa sulla sua propensione a favorire un processo democratico, una nuova legge sul referendum costituzionale e infine le elezioni come da impegni presi a Parigi, Palermo e Abu Dhabi. Il tutto però – sottolinea – non prima di aver preso il controllo della capitale e «eliminato la corruzione e le milizie, terroristi e gang di trafficanti». Le milizie del premier Serraj sono nel frattempo riuscite ulteriore prova di inaffidabilità tornando a combattersi tra di loro, mercoledì, proprio vicino all’aeroporto di Tripoli, per la liberazione di alcuni presunti jihadisti detenuti nel vicino carcere affidato alla Rada, la forza di intervento rapido.

Il presidente turco Erdogan, alfiere della Fratellanza musulmana, ieri ha ribadito che continuerà ad appoggiare – e rifornire – militarmente Serraj. O meglio Misurata, visto che Serraj, «non controlla neanche il suo ufficio», per dirla con le parole di Aguila Saleh. O «sembra un uomo scosso, terrorizzato», «che ripete come un’eco i discorsi dell’inviato Onu Salamè», come lo descrive Haftar declinando con ciò, come «nulla», la proposta di tregua lanciata dal premier domenica scorsa.