La crescita impressionante dell’astensionismo nelle recenti elezioni amministrative rappresenta un ulteriore passo avanti della crisi del sistema politico italiano. La sfiducia e il malessere sociale si sono espressi questa volta soprattutto con la rinuncia al voto di quasi quattro elettori su dieci. In questo contesto, sono stati particolarmente penalizzate le due formazioni che avevano costruito, in tempi diversi, i loro successi gestendo la critica e la protesta dei cittadini contro i partiti politici: il Movimento 5Stelle e la Lega.

Le difficoltà incontrate dal movimento di Grillo nelle elezioni comunali sono state salutate con entusiasmo da tutti gli schieramenti politici. Le attese, ingenuamente alimentate anche dallo stesso comico genovese, di ripetere a livello locale lo «tsunami» delle elezioni nazionale sono state largamente disattese. Molto più agevole era stato, non a caso, il percorso inverso, dal locale al nazionale. Nel 2012 le liste del M5S avevano ottenuto risultati superiori alle attese a Genova e in numerosi altri comuni del nord e del centro, con quote comprese tra l’8% e il 12%.

Ma erano stati soprattutto due eventi imprevedibili a far decollare i consensi per il movimento: l’elezione di Federico Pizzarotti a sindaco di Parma e poi il primato conquistato dal M5S nelle elezioni siciliane con il 18% dei voti. Si realizzava così un decisivo salto di qualità per il Movimento 5Stelle, percepito come interprete più credibile delle proteste contro i partiti e contro il governo Monti. Le intenzioni di voto erano subito cresciute fino al 25% delle elezioni nazionali.

Si trattava essenzialmente di un voto di opinione, che univa la protesta alla richiesta di cambiamenti radicali della politica. Un voto trasversale, del tutto sganciato da riferimenti a posizioni sociali, ad aree territoriali e a richiami ideologici. La campagna promossa da Grillo è stata vincente a livello nazionale, ma è apparsa subito meno traducibile nelle elezioni regionali che si sono svolte nello stesso giorno in Lombardia e Lazio: il M5S ha ottenuto quote di consensi nettamente inferiori (tra il 6% e il 10%). Una tendenza che si è riprodotta anche nelle elezioni regionali del Friuli, con una diminuzione dell’8% rispetto alle politiche. La mancanza di radicamento territoriale e la scarsa notorietà dei candidati hanno naturalmente creato difficoltà ancora maggiori al M5S nelle recenti elezioni comunali. L’espressione della protesta e le domande di cambiamento della politica si sono dimostrate poco traducibili nei contesti delle competizione locale. E non è bastato sottolineare la radicale diversità delle liste a 5Stelle rispetto a tutte le altre.

Lo «tsunami» che si era registrato a livello nazionale ha avuto un effetto limitato a livello locale anche per altre ragioni. Le aspettative di cambiamenti nella politica nazionale alimentate dal successo del movimento di Grillo non si sono per ora realizzate, in parte per l’inesperienza e la rigidità dei «cittadini a 5Stelle», in parte per i ritardi nell’avvio delle attività parlamentari. Anche il governo e i parlamentari degli altri partiti non hanno attuato per ora nessun provvedimento significativo per la vita di cittadini, al di là degli annunci e delle ripetute promesse. I loro elettori sono però abituati a questi comportamenti, e in buona parte hanno riconfermato il loro voto di appartenenza nelle elezioni locali, anche per contrastare il successo di liste percepite come avversarie.

Il M5S non può contare su nessuna tradizione di voto di appartenenza, e le sue difficoltà a soddisfare le attese di cambiamento sono valutate più severamente. I risultati ottenuti nelle elezioni comunali sono così ritornati a livelli paragonabili a quelli del 2012, anche si è notevolmente esteso il numero dei comuni in cui sono stati eletti candidati del M5S. Non appare molto credibile agli stessi attivisti l’idea di Grillo di creare un retroterra sociale al movimento evocando un’Italia favorevole al cambiamento (formata da lavoratori autonomi, cassintegrati, precari, studenti, piccole e media imprese) che si contrappone all’Italia che vuole mantenere lo «status quo» e i privilegi.
Molto diverse sono le ragioni e gli effetti degli insuccessi della Lega nelle sue tradizionali roccaforti. Nelle elezioni del 24-25 febbraio,il Carroccio era riuscito a conquistare la Lombardia ma i consensi elettorali si erano più che dimezzati rispetto al 2008. Il nuovo patto con Berlusconi aveva in parte disorientato l’elettorato leghista, che spesso preferiva l’astensione o altre liste. Nei mesi successivi, Maroni ha cercato di rilanciare il Carroccio con un profilo di «sindacato del territorio», impegnato a difendere gli interessi regionali, sul modello del Csu bavarese. Sono state ridimensionate le polemiche contro i partiti romani e le campagne contro immigrati e rom. Sono però cresciute le difficoltà a mantenere l’unità dell’area elettorale che in passato aveva votato per la Lega.

Il progetto portato avanti da Maroni non è stato in grado di riaccendere la mobilitazione degli attivisti e degli elettori. I risultati del primo turno delle elezioni amministrative sono stati molto deludenti. E la caduta di consensi del Carroccio non ha favorito il Pdl, ma altre liste estranee al centrodestra. Oggi appaiono molto ridotte le possibilità del Carroccio di gestire la protesta delle regioni del Nord. Se d’altra parte la Lega si limita a rivendicare la semplice rappresentanza delle comunità locali, gli elettori possono preferire gli amministratori di centrosinistra, come si è già verificato in molti comuni del Veneto e della Lombardia. Questa tendenza può mettere in discussione la capacità di successo della coalizione dei centrodestra in molti comuni delle tre regioni del Nord che tutt’ora governa.