Grecia: i burocrati ripartono all’arrembaggio
Crisi d'Europa L'Eurogruppo rifiuta il prestito-ponte. Oggi la Grecia in difficoltà per i rimborsi del prestito "samurai". Tutto in altomare nell'attesa del voto di numerosi parlamenti: non solo Atene, ma anche Parigi, Berlino e Helsinki (un osso duro). Hollande soddisfatto per la mediazione, Steinmeier ricuce lo strappo.
Crisi d'Europa L'Eurogruppo rifiuta il prestito-ponte. Oggi la Grecia in difficoltà per i rimborsi del prestito "samurai". Tutto in altomare nell'attesa del voto di numerosi parlamenti: non solo Atene, ma anche Parigi, Berlino e Helsinki (un osso duro). Hollande soddisfatto per la mediazione, Steinmeier ricuce lo strappo.
I burocrati sono ripartiti all’arrembaggio, dopo l’«accordo» raggiunto dai leader politici della zona euro dopo 17 ore di discussione. Ieri l’Eurogruppo, il collegio dei 19 ministri delle Finanze, ha rifiutato un prestito-ponte, «non abbiamo trovato la chiave» dice il presidente Jeroen Dijsselbloem, è «molto complesso» e così Atene resta a rischio Grexident, un default rispetto alle scadenze che incombono.
Oggi scade il prestito «samurai», 146 milioni di euro di obbligazioni in yen emesse dal governo greco nel 1995. Un default verso creditori privati si potrebbe aggiungere al default verso l’Fmi del 30 giugno (1,6 miliardi) a cui devono essere rimborsati subito anche altri 450 milioni. Senza nuovi finanziamenti, c’è il baratro del rimborso di 3,5 miliardi alla Bce, il 20 luglio. E poi, più lontano, l’appuntamento del 20 agosto: 3,2 miliardi ancora alla Bce, 1 miliardo di bond in scadenza e ancora 182 milioni all’Fmi. Insomma, tutto è in salita per la Grecia.
Difatti, i 18 si sono trasformati in censori ciechi, che urlano sui tetti d’Europa che «manca la fiducia», cioè che i greci sono inaffidabili. Bisogna aspettare domani, giorno di scadenza del nuovo ultimatum, quando il parlamento greco dovrà votare la prima batteria di riforme.
La Bce aspetta anch’essa con la baionetta tra i denti. Ieri, i governatori del board hanno rifiutato di alzare l’Ela, la liquidità di emergenza, l’ultimo rubinetto che tiene in vita la circolazione finanziaria in Grecia. Il tetto è bloccato da giorni a 89 miliardi. Così in Grecia le banche restano chiuse (almeno fino a giovedì) ed è mantenuto il controllo sui capitali.
In attesa dello sblocco di un terzo piano di aiuti, c’è ancora l’incognita del voto. In Grecia prima di tutto, entro mercoledì, ma anche in altri 8 paesi: la Francia, che per la prima volta fa intervenire il parlamento, organizza un voto sia all’Assemblée nationale che al Senato, non riserva sorprese – voteranno a favore il Ps e anche la maggioranza dei Repubblicani di Sarkozy – in Germania il Bundestag vota venerdì, e anche qui non dovrebbero esserci incidenti, Angela Merkel ha raccomandato «con piena fiducia» ai deputati di approvare il testo, definito da Der Spiegel un «catalogo degli orrori». Invece, un incidente è a rischio in Finlandia, mini-falco ieri alla punta del rifiuto del prestito-ponte. In ogni caso, ci vorranno almeno due settimane, se non tre o quattro, per completare il giro dei voti sull’accordo e dare il via libera all’inizio del negoziato sul terzo piano, lasciando aperto il rischio di un Grexident.
«Decisione storica» per Hollande, «accordo laborioso» per Juncker . Dopo la più lunga notte della storia dei leader della zona euro, 17 ore consecutive tra «qualche tensione» (Renzi), ieri il momento di autocompiacimento è durato poco. Il burocrate capo, il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha portato tutti con i piedi per terra: «domani (oggi, ndr) e mercoledì il parlamento greco dovrà legiferare, se tutto va bene entro il fine settimana può essere deciso il mandato per negoziare il sostegno attraverso il Mes», il Meccanismo di stabilità, cioè circa 80 miliardi di nuovi «aiuti», il 27% a carico della Germania, il 20% per la Francia, il 18% per l’Italia e il 12% per la Spagna. Al vertice è stato dato l’ok a un futuro negoziato, sempre che la Grecia si pieghi ai diktat, ma il testo sottolinea che non c’è nessuna garanzia di successo.
«Colpo di stato finanziario» attuato dai «mafiosi» secondo Podemos, accordo concluso «con la pistola alla tempia» per Jean-Luc Mélenchon del Front de Gauche: molte voci discordanti, ieri, che non hanno però intaccato la linea dominante che legge l’accordo come un salvataggio dell’euro dalle «terre incognite» del Grexit. Trionfo modesto per il mediatore, François Hollande, che incassa, in patria, un successo dopo le feroci critiche di cui è stato oggetto per aver osato contrastare la posizione dell’eterno gregario nell’asse franco-tedesco (Berlino si è fortemente irritata per la consulenza francese alla Grecia di questi ultimi giorni, perché non era stata avvertita).
L’accordo «dà un futuro alla zona euro», per il presidente francese, e va dato a Tsipras il merito di aver fatto «una scelta coraggiosa». Hollande recupera a sinistra, Pierre Laurent del Pcf rende omaggio al «coraggio di Tsipras» e giudica che l’accordo «scarta lo scenario di un Grexit e l’asfissia finanziaria per la Grecia». Marine Le Pen, sola, denuncia «la Grecia al macello, peggio di una capitolazione, una resa», l’euro «moneta religiosa, santificata, vudu». Anche la Nato si rallegra, «per un importante accordo sulla sicurezza».
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