Una folla oceanica, in fila per ore, ha voluto dare ieri, dalle 6 del mattino, l’ultimo saluto a Maradona alla Casa Rosada, dove l’orario della camera ardente è stato infine prolungato di tre ore, fino alle 19, di fronte alle tensioni e ai disordini provocati da chi temeva di non riuscire a entrare (e lo ha fatto con la forza, provocando l’intervento della polizia).

UN ENORME GRAZIE COLLETTIVO a chi, agli occhi del popolo argentino e non solo, è stato, soprattutto, un simbolo di riscatto, come qualche anno fa il grande fumettista argentino Roberto Fontanarrosa aveva evidenziato in una frase divenuta celebre, tante volte ricordata nelle ultime ore sulle reti sociali: «Che mi importa cosa Maradona ha fatto della sua vita, mi importa cosa ha fatto con la mia».

Ed è in fondo ciò che ha ripetuto lo stesso presidente Alberto Fernández, che, dopo aver decretato tre giorni di lutto nazionale, ha ricordato la scomparsa del campione in un accorato tweet: «Ci hai portato sulla vetta del mondo. Ci hai fatto immensamente felici. Sei stato il più grande di tutti. Grazie per essere esistito, Diego. Ci mancherai per tutta la vita».

Quindi, dopo aver preso parte alla veglia privata riservata alla famiglia e ad alcuni invitati speciali, tra cui la maggior parte dei suoi compagni della squadra campione del mondo nel 1986, il presidente ha dichiarato ancora, alla radio: «Nessuno ha idea di cosa sia stato Maradona, assolutamente nessuno».

Maradona fuma il sigaro mentre assiste,[object Object],a un Boca-River del 2006 (Foto: Ap)

 

ALLA CASA ROSADA «El Pelusa», come Maradona veniva spesso chiamato, era stato appena un anno fa, quando aveva incontrato per un’ora Fernández pochi giorni dopo il suo insediamento, presentandogli un progetto destinato al recupero dei potreros, gli spazi improvvisati trasformati in campi da gioco da cui sono emersi tanti campioni.

E, nell’occasione, affacciandosi al balcone e baciando una copia della Coppa del Mondo, aveva gridato «Macri nunca más», mai più Macri, l’ex presidente a cui già aveva rivolto parole durissime – «Le tue decisioni hanno mandato in merda la vita di due generazioni di argentini» -, ma che non si è potuto sottrarre neanche lui al doveroso omaggio, parlando delle «gioie incancellabili che Diego ci ha dato».

MA BEN ALTRI SONO GLI OMAGGI che vale la pena ricordare, a partire da quello delle Madri e delle Nonne di Piazza di Maggio che sul sostegno di Maradona hanno potuto contare sempre, e i cui fazzoletti, non a caso, Fernández ha voluto deporre sul suo feretro: «Il nostro saluto a Diego, il Diego del popolo, quello che cercava di porre rimedio alle ingiustizie e al dolore altrui.

Il Diego solidale, che ha saputo dire la verità senza timore delle conseguenze. Quello che ci ha riempito di gioia e la cui dipartita ci inonda di tristezza. Hasta siempre. Vivrai nella nostra memoria».

Ma anche fuori dall’Argentina in tantissimi lo hanno ricordato, soprattutto a Cuba e in Venezuela, i paesi a cui «El Diez», grande amico di Castro («un secondo padre») e di Chávez («un gigante»), non ha mai fatto mancare il suo appoggio.

COSÌ, MIGUEL DÍAZ-CANEL ha parlato di «un giorno doppiamente doloroso: quattro anni senza la presenza fisica di Fidel e oggi ci ha lasciato Maradona. Eternamente amici, sono per noi tutti i giorni fonte di ispirazione».

E Nicolás Maduro, che lo aveva ospitato in Venezuela lo scorso gennaio, ha espresso tutto il suo dolore per chi è stato incondizionatamente al fianco della rivoluzione bolivariana («Quando Maduro lo ordinerà – aveva detto -, mi vestirò da soldato per combattere contro l’imperialismo»): «Caro e irriverente Pelusa, sarai sempre nel mio cuore e nei mie pensieri. Non ho parole per esprimere quello che sento. Hasta siempre Pibe de America!».

Ma tra i presidenti ancora in vita di quel ciclo progressista latinoamericano che per un po’ di tempo tante speranze aveva suscitato, nessuno è mancato all’appello: da Cristina Fernández de Kirchner, oggi vicepresidente argentina, a Evo Morales, da poco tornato in Bolivia dopo un anno di esilio; dall’ex presidente uruguayano Pepe Mujica a Fernando Lugo, il presidente rovesciato in Paraguay nel 2012.

FINO ALL’EX PRESIDENTE brasiliano Lula, il quale ha evidenziato come Maradona – che non aveva mancato di denunciare il golpe contro Dilma Rousseff e la persecuzione giudiziaria nei confronti del leader del Pt – non fosse solo un gigante del calcio, ma anche un grande difensore delle cause popolari e della sovranità latinoamericana.