Volge al termine il 2017 ed è tempo di bilanci. Arriviamo a dieci anni da quella Grande Crisi che nei tempi successivi si è infiltrata nei media, nei discorsi comuni, nelle valutazioni politiche, in ogni tipo di analisi su quasi ogni settore.

«Siamo nella crisi» è diventato il contrassegno di un’epoca. Crisi del capitalismo. Crisi del progetto europeo.

Vista tale pervasività, sembra ovvio che una priorità sia capire se e quanto lo stato dell’economia sia sicuro e indirizzato su salde fondamenta. Prendiamo in rassegna alcune fonti istituzionali.

«I rischi per la stabilità finanziaria derivanti dall’economia internazionale continuano a diminuire. Anche nell’area dell’euro il consolidamento della crescita e la riduzione dell’incertezza hanno contribuito a ridurre i rischi». Sembra promettente, vero? Si tratta del «Rapporto sulla Stabilità finanziaria di Bankitalia» (novembre 2017). Indubbiamente una posizione rassicurante.

Non tutti sono d’accordo.

L’ex governatore della Banca d’Inghilterra, Mervy King, a settembre notava invece che «Il debito totale rispetto al PIL oggi è ancora più elevato di quanto lo fosse immediatamente prima della crisi. Alla fine del 2016, secondo i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali, il debito delle famiglie e delle imprese ammontava, in rapporto al Pil, al 138%. Alla fine del 2007 il rapporto era del 115%. Nelle economie avanzate questo rapporto è stato in media del 195% alla fine dello scorso anno, rispetto al 183% della fine del 2007».

Non è una voce isolata. La Banca d’Inghilterra ha più volte manifestato la sua preoccupazione che un aumento dell’indebitamento in vari settori possa portare a nuove crisi.

Ne ha parlato il suo direttore esecutivo per la stabilità finanziaria, Alex Brazier, a Liverpool a luglio scorso: ha indicato come rischiosa la crescita di forme di indebitamento quali il credito al consumo che in Uk è cresciuto del 10% mentre le retribuzioni solo del 1,5%… ne aveva parlato a giugno anche il Governatore Mark Carney.

Gli inglesi non sono i soli ad essere preoccupati. Si possono aggiungere due navi ammiraglie del mainstream economico-finanziario, dalle credenziali assolutamente impeccabili in quanto a devozione al capitalismo.

La Bis (Banca dei Regolamenti Internazionali) è detta la «banca centrale delle banche centrali»; istituzione di prestigio del massimo grado; il suo capo-economista del Dipartimento Monetario ed Economico, Claudio Borio, presentando il 1 dicembre scorso una serie di articoli in merito alla stabilità finanziaria affermava che la congiuntura favorevole ha spinto ad una maggiore propensione al rischio finanziario, in specie «l’indice del comparto high-yield statunitense (quello di titoli più rischiosi e redditizi!, nda) si è avvicinato a livelli mai visti dal periodo precedente (le crisi del 1998 e del 2007, nda)».

L’ultimo rapporto dell’Oecd parrebbe più ottimistico, poiché «l’economia globale sta adesso crescendo al maggior ritmo dal 2010»; ma a parte che «il miglioramento nel breve termine è apprezzabile, ma rimane modesto confrontandolo con le passate fasi di ripresa… le prospettive per proseguire la crescita globale nel 2019 e assicurare le basi per una crescita più resiliente ed inclusiva… non sembrano in vista»… c’è anche un altro problema: «I rischi finanziari sono in aumento nelle economie avanzate, con un prolungato periodo di bassi tassi che incoraggiano una maggiore assunzione di rischi e un aumento del valore di asset, incluso il mercato immobiliare». Insomma si ammette che buona parte della ripresa è nutrita da rendite finanziarie!

Chi pensava che fossimo al sicuro, lontani dall’abisso farebbe bene a far meglio i suoi conti.