Il governo Bennett lunedì prossimo scioglierà la Knesset (il parlamento) portando Israele alle urne il 25 ottobre per la quinta volta in tre anni e mezzo. I due architetti della coalizione di governo, messa insieme appena un anno fa, il primo ministro Naftali Bennett e il ministro degli esteri Yair Lapid, rivolgendosi ieri sera al paese in diretta tv, hanno spiegato di aver «esaurito» tutti gli sforzi per tenere insieme l’esecutivo di fronte alle continue ribellioni di deputati della fragile maggioranza formata da otto partiti di centro, centrosinistra, destra e l’islamista Raam. Lapid assumerà l’interim come primo ministro dopo lo scioglimento del parlamento e resterà premier fino alla formazione del nuovo governo dopo le elezioni. Sarà perciò Lapid a ricever il presidente Usa Joe Biden che, ieri sera, ha confermato, nonostante la crisi di governo in Israele, il suo viaggio in Medio oriente a metà del prossimo mese.

Ieri si è spenta la coalizione che aveva posto termine al lungo regno politico (2009-2011) di Benyamin Netanyahu che, peraltro, sta affrontando un processo per corruzione e abuso di potere.

Paradossalmente la fine del governo Bennett potrebbe aprire la strada a un clamoroso ritorno sulla poltrona più importante di Israele proprio all’ex primo ministro e leader della destra e del partito Likud. «Questo governo fallimentare è arrivato al capolinea», ha commentato Netanyahu promettendo che insieme ai suoi alleati formerà «un governo allargato guidato dal Likud che ridurrà le tasse, condurrà Israele verso successi enormi, inclusa l’estensione dell’area della pace». «Un governo – ha aggiunto – che restituirà l’orgoglio nazionale». Gli analisti però dubitano che Netanyahu sia in grado di mettere insieme una maggioranza di almeno 61 deputati su 120. La destra in Israele è maggioritaria ma è spaccata proprio sul nome di Netanyahu, personaggio politico divisivo che è rimasto vittima di rivalità e scontri personali che egli stesso ha alimentato per anni al punto da perdere alcuni alleati decisivi per la formazione di una coalizione di destra.