La presentazione del programma AlphaFold 3 sulla prestigiosa rivista Nature di una settimana fa era sembrato l’ennesimo trionfo tecnologico per Google. AlphaFold 3 è un software capace di simulare l’interazione tra le proteine e le altre sostanze presenti nelle cellule. Le proteine sono lunghe molecole che ripiegandosi su se stesse assumono forme particolari che le rendono biologicamente attive: la forma particolare permette loro di adattarsi in modo specifico solo ad alcune molecole – Dna, Rna, proteine o altro -, realizzando meccanismi di grande complessità e precisione ma che non si possono prevedere a tavolino.

Dedurre la forma geometrica e la funzione biologica di una proteina a partire dalla sua composizione chimica è uno dei compiti principali dei biochimici, quando si mettono alla ricerca di un nuovo farmaco. Ma richiede mesi di lavoro di laboratorio solo per una singola proteina.

AlphaFold 3, come e assai più rapidamente dei predecessori AlphaFold 1 e 2, permette in pochi minuti di riprodurre al computer con grande accuratezza il ripiegamento di una proteina alle prese con un’altra molecola. In questo modo, è possibile individuare in poco tempo quale proteina può attivare o disattivare un dato processo biologico e scoprire rapidamente i principi attivi più promettenti dal punto di vista clinico: un’accelerazione della ricerca biomedica inimmaginabile fino a pochi anni fa.

Alla base di questo incredibile progresso, tanto per cambiare, c’è una rete neurale e questo costituisce un problema: come tutti i sistemi attuali di intelligenza artificiale, le previsioni di AlphaFold 3 sul comportamento delle proteine non aggiungono nulla alla nostra comprensione della biologia. Il computer si limita a dare la risposta giusta dopo essersi allenato su un gran numero di casi ma non è in grado di sintetizzare il suo sapere in leggi che si possano insegnare sui libri di testo.

Per capirsi, è un po’ quello che avviene nei bambini che imparano a parlare correttamente assai prima di conoscere le regole della grammatica. Perciò, le conquiste scientifiche rese possibili dai sistemi di intelligenza artificiale coincidono con il possesso stesso dei sistemi e dei dati con cui sono stati addestrati.

La contraddizione interna di una conoscenza avanzatissima che non può essere condivisa ha causato il malcontento della comunità scientifica che sta rapidamente trasformando il trionfo in una figuraccia per Google e Nature. La rivista impone agli autori delle ricerche di rendere pubblici i dati e il software con cui sono state realizzate: è una regola di trasparenza che consente alla comunità scientifica di verificare l’autenticità delle scoperte.

Ma nel caso di AlphaFold 3 ha accettato di fare eccezione: a differenza delle versioni precedenti, che ogni scienziato ha potuto usare liberamente, Google ha ottenuto di mantenere riservata la piattaforma AlphaFold 3, rendendone pubblica solo una versione di potenza limitata, per conservare il vantaggio sui concorrenti nella lucrosissima ricerca farmaceutica. La comunità scientifica, dunque, non beneficerà dell’invenzione di AlphaFold-3 né potrà svolgere la tradizionale opera di valutazione delle nuove conoscenze.

Centinaia di scienziati hanno sottoscritto una lettera aperta che sta rapidamente circolando nei laboratori. «La quantità di informazioni contenute nella pubblicazione di AlphaFold 3 è appropriata per un comunicato stampa ma non soddisfa gli standard della comunità scientifica in termini di utilizzabilità, scalabilità e trasparenza» scrivono gli scienziati, abbassando di colpo la gloriosa rivista Nature al rango di un volantino pubblicitario del supermarket sotto casa.