Lo sciopero nei cieli italiani di domani – dalle 14 alle 18 di Filt Cgil e Uilt per piloti e assistenti di volo Ryanair e AirMalta, di Uilt in Volotea, di Usb in Easyjet e (soprattutto) dei controllori di volo di Enav – metterà in ginocchio il già scricchiolante sistema delle compagnie low cost in Italia.

Un sistema che negli ultimi venti anni ha prosperato basandosi su un costo del lavoro bassissimo, sulle laute sovvenzioni che le compagnie ricevono dagli enti locali su gran parte dei collegamenti e su una struttura industriale praticamente inesistente.

Quest’ultimo punto non va sottovalutato. Ryanair, Easyjet, Volotea, Blue Air e Norwegian (manca solo Wizzair fra le low cost) sono giganti con bilanci miliardari. Ma in Italia sono rappresentate da un’associazione datoriale di nome Aicalf, associazione italiana compagnie aeree low fare.

Le «basse tariffe» applicate rappresentano però oltre la «metà del mercato italiano», come viene rivendicato sull’inattivo profilo Twitter. Una specie di Confindustria con potere di fuoco amplissimo.

Nata nel maggio 2020 in pompa magna, Aicalf però è in realtà una barchetta di carta: la sua sede è uno studio legale in piazza Navona e il suo Carlo Bonomi è il giovane avvocato Matteo Castioni, una sorta di factotum di Aicalf.

Castioni infatti risulta essere «presidente» di Aicalf ma in realtà «è» Aicalf: l’associazione non ha ufficio stampa, non ha un sito internet, non ha organigramma, non ha consulenti, non ha sede. Si appoggia allo studio legale Watson Farley & Williams per cui lavora lo stesso Castioni.

«In realtà esiste un board con un rappresentante per ogni compagnia aerea che si riunisce ogni 15 giorni», precisa il gentilissimo Castioni, rispondendo al telefono, confermando tutto il resto.

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L’ultima sortita della Aicalf è di marzo. Lo stesso Castioni chiedeva «al governo la rimozione dell’addizionale comunale per tutti gli aeroporti italiani. Attualmente pari a 6,50 euro per ogni passeggero imbarcato da tutti gli aeroporti italiani, un euro in più a Roma».

Era il primo campanello di allarme della crisi delle low cost: non potendo più tagliare le tariffe a causa della crisi Covid, le compagnie chiedevano al governo Draghi di farlo indirettamente per loro.

Il secondo campanello d’allarme è contenuto nell’articolo 203 del decreto Rilancio sull’applicazione dei minimi salariali previsti dal contratto nazionale del trasporto aereo.

Nonostante il blitz della stessa Aicalf in commissione Bilancio a maggio 2020 per emendare l’articolo, la norma anti dumping è molto chiara: «I vettori aerei che operano e impiegano personale sul territorio italiano applicano ai propri dipendenti trattamenti retributivi comunque non inferiori a quelli minimi stabiliti dal Contratto collettivo nazionale del settore stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale».

Dopo due anni di inapplicazione della norma, sotto la pressione dei sindacati, ora il governo si sta muovendo e dopo un primo incontro interlocutorio, per il 20 luglio ha convocato le compagnie – Aicalf compresa – e sindacati. «Per noi – prova a convincersi Castioni – tutte le nostre associate rispettano quella norma applicando i minimi salariali di legge».

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Peccato che approfondendo la questione Castioni ammette che – se nel caso di Ryanair esiste un contratto aziendale firmato da Fit Cisl (che difatti non sciopera mai) e Anpav, in EasyJet con tutti i confederali – in Volotea, la low cost spagnola, «i contratti sono individuali»: dunque niente sindacati e livelli retributivi fissati a piacimento dalla compagnia aderente a Aicalf.

Quanto alle tante altre rivendicazioni sindacali – decurtazione dello stipendio ai dipendenti Ryanair che scioperano, mancata concessione dei permessi per la legge 104 sull’assistenza dei familiari – la risposta di Castioni è sempre la stessa: «Non posso commentare questioni che riguardano singole associate». Senza smentirle, dunque.