In Vietnam gli opposti si incontrano. Il 20 per cento della popolazione ancora oggi è considerata povera. Ma nelle grandi città si costruiscono grattacieli, compound di lusso e centri commerciali per la nuova classe media e i super-ricchi.

Lo scorso 28 gennaio si è concluso ad Hanoi il XII Congresso del Partito comunista vietnamita. È stata decisa la line-up della nuova-vecchia dirigenza – nei prossimi cinque anni sarà ancora il 70enne Nguyen Phu Trong il segretario generale del partito comunista, la carica dove è concentrato il potere nella Repubblica socialista – che dovrà garantire il benessere dei nuovi ricchi e cercare di ridurre ulteriormente il tasso di povertà e porre un freno alla forbice che separa i più ricchi dai più poveri. Un problema che, dicono gli esperti, se lasciato irrisolto, rischia di minare alle basi la legittimità del partito unico.

Il dodicesimo congresso del partito comunista in Vietnam
Il dodicesimo congresso del partito comunista in Vietnam

La fine di Dung

Solo non ci sarà più Nguyen Tan Dung, il carismatico primo ministro che ha spinto l’acceleratore sulla via verso l’integrazione del suo paese negli assetti economici regionali e globali. È lui infatti l’uomo simbolo dell’ingresso del Vietnam nella World Trade Organization nel 2007 e, più di recente, nella Trans Pacific Partnership, l’accordo commerciale che unisce i due capi dell’Oceano Pacifico nella più grande area di libero scambio al mondo.

Oggi come quarant’anni fa, quando il paese veniva riunito in seguito alla caduta di Saigon, il partito è al posto di comando, incontrastato. Ma il suo ruolo è radicalmente cambiato. Se un tempo era il liberatore dall’oppressione, oggi è il garante ultimo della crescita economica del paese e del benessere dei singoli. Il paese impoverito, affamato e diviso da decenni di guerre, infatti, non esiste più. Oggi ce n’è un altro che cresce a ritmi altissimi, attira investimenti in settori chiave per il mercato globale e guarda verso il futuro. L’apertura al mercato avviata nel 1987 con il doi moi, «rinnovamento», vista anche la fine degli aiuti dell’Unione sovietica, ha trasformato radicalmente il paese. La piena transizione industriale del paese rimane fissata per il 2020, ma già si pensa al dopo, puntando, ad esempio, sul turismo, con la formazione di risorse umane nel settore ricettivo e l’allentamento delle politiche sui visti d’ingresso per i cittadini giapponesi e di alcuni paesi dell’Eurozona.

Oggi in Vietnam si produce e si consuma ai livelli più alti degli ultimi tre decenni. La crescita per l’anno appena concluso si è assestata a quella che le autorità vietnamite hanno definito la «fortunata» quota di 6,68 per cento. Ancora nel 1992 oltre 21 milioni di persone non avevano abbastanza cibo. In poco più di vent’anni, quel numero è oltre che dimezzato.

Con la fine dell’agricoltura collettivizzata, i cronici problemi di approvvigionamento alimentare che avevano caratterizzato gli anni ’70 e ‘80 sono infatti venuti meno.

L’«alunno modello»

Secondo la Banca Mondiale, che ha eletto il Vietnam a «alunno modello» delle sue politiche di assistenza ai paesi in transizione da un’economia collettivista a un’economia parzialmente di mercato, dalla fine degli anni ’80 a oggi oltre trenta milioni di persone – un terzo della popolazione del paese – è uscita dalla povertà. Le principali città del paese come Hanoi e Ho Chi Minh City sono sempre più middle-class.

La capitale, nel centro storico, con i suoi caffè, gli edifici di epoca coloniale, come fuori, con le insegne di propaganda montate per accogliere i delegati al congresso del Partito, rimane in qualche modo ancorata alla sua storia.

Ma l’impressione è che nella vita dei suoi milioni di abitanti – l’età media qui è di 28 anni – non ci sia spazio per la nostalgia. «All’epoca dei miei», ci spiega Binh, un giovane di 27 anni che lavora per un’azienda impiegata nel settore dei bio-combustibili, «i manifesti e altri oggetti quotidiani – tazze, accendini – con messaggi di propaganda erano ovunque. Ma la maggior parte della gente oggi se n’è sbarazzata, pensando non fosse di nessun valore.

Solo qualche collezionista ha conservato quegli oggetti». In un piccolo negozio di vecchi manifesti di propaganda – in realtà copie in stampa digitale – della città vecchia, ci sentiamo dare una risposta simile: «Gli originali non si trovano più». La crescita la si intravede dalle barriere che delimitano i cantieri immobiliari nella prima periferia di Hanoi. Nel 2013, il governo ha individuato nel settore immobiliare la chiave per rispondere adeguatamente alla crescita della classe media locale e per attirare nuovi investimenti esteri.

Ha concesso così un finanziamento da 1,4 miliardi di dollari e allentato i vincoli che vietavano a stranieri e vietnamiti espatriati di investire nel mattone.

Compound di lusso

Proprio nel 2013, poco fuori dal centro storico di Hanoi viene costruito Royal City, un complesso residenziale di lusso con annesso centro commerciale sotterraneo, costruito dal gruppo VinCom, di proprietà del primo milionario del paese, Pham Nhat Vuong. Una città nella città a cui si accede da un arco di trionfo da cui si sviluppa un viale con fontane e statue in stile neoclassico.

La domanda di beni e servizi si è fatta soprattutto negli ultimi anni sempre più consistente. Oggi un vietnamita – che di media guadagna intorno ai 150 dollari al mese – può permettersi di mangiare fuori casa, bere un caffè, fare benzina per il motorino e mantenere uno smartphone con connessione a internet. Chi guadagna di più può addirittura permettersi di comprare cibi di importazione – considerati più sicuri e di qualità – o di spendere un paio di milioni di dong – l’equivalente di 50 dollari – in una sera al ristorante o al karaoke.

Il cambiamento culturale

La crescita ha inevitabilmente portato con sé, almeno nelle città, un cambiamento culturale. La prospettiva di fare soldi, in un paese in cui oggi tutto sembra possibile, attira.

Entrando in una libreria nella zona del lago di Hoan Kiem, nel pieno centro della capitale, passati i ritratti di Marx e Lenin sulla parete dietro un banco informazioni, tra i libri più in bella mostra c’è un’edizione vietnamita di «How To Get Rich», «Come arricchirsi», di Donald Trump.

Gli slogan del partito visti per strada – «unità e solidarietà», «popolo ricco, paese forte, democratico, giusto e civilizzato» – sembrano sempre più lontani. Le bandiere rosse con falce e martello lungo i viali della città pagine strappate per l’occasione a un vecchio libro di storia.

Ma il cambiamento non si limita a questo. La sicurezza alimentare e l’inquinamento atmosferico e sono tra i temi più sentiti oggi nelle aree urbane. Nel flusso ininterrotto di motorini che percorrono le strade di Hanoi, sono sempre più numerose le mascherine protettive sotto i caschi.

«Attenti a cosa mangiate per strada!», ci dice un receptionist d’albergo. Di recente, ci spiega l’uomo, in Vietnam entra illegalmente cibo avariato dalla Cina. Subito dopo ci mostra un video su Youtube su come alcuni macellai usino delle soluzioni per far apparire la carne andata a male nuovamente fresca.

Chiediamo ad altri quanto la questione sia sentita. Thi, ad esempio, impiegata in un’agenzia legata alla cooperazione internazionale giapponese, ha deciso di coltivare la propria verdura.

«Sul terreno dove ho il mio orto inizieranno presto dei lavori di costruzione. Ma fino a quel momento, lo userò per coltivare».