o dello Stato per salvare un’area protetta da un progetto di trivellazione che fa male al clima, alla biodiversità vegetale e animale e va contro leggi comunitarie e nazionali. Così, le associazioni ambientaliste ClientEarth, Legambiente, Lipu-BirdLife Italia, WWF Italia e Greenpeace Italia hanno depositato, ieri, un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per chiedere l’annullamento del decreto del Ministero della Transizione Ecologica – emanato lo scorso marzo in accordo con il Ministero della Cultura – che dà parere positivo alla compatibilità ambientale del progetto denominato Teodorico, finalizzato alla ricerca di idrocarburi al confine con un’area marina protetta alla foce del Delta del Po, patrimonio dell’Unesco, al confine tra le regioni Veneto ed Emilia Romagna.

Il progetto Teodorico, discusso e contestato da mesi nel territorio (il Parco regionale veneto del Delta del Po, a fine maggio, ha presentato un ricorso al Tar), è promosso dalla società australiana Po Valley Operations, che ha all’attivo anche lo sfruttamento del giacimento di metano Selva Malvezzi, nelle campagne di Budrio (Bologna). L’azienda ha beneficiato dell’ultimo via libera alle trivelle, che la scorsa primavera ha portato i movimenti ecologisti a soprannominare il ministro Roberto Cingolani alla «Finzione ecologica» anziché alla Transizione. Sulla carta, Teodorico è composto da una piattaforma di sfruttamento del gas, due pozzi e due condutture. La nuova piattaforma si collegherebbe a un’altra già esistente, gestita dal colosso Eni. Sorgerebbe – sottolineano le associazioni – al confine con l’area marina protetta «Adriatico nord veneziano – Delta del Po», istituita di recente per la conservazione di specie protette come il tursiope, delfino che popola l’Alto Adriatico, e la tartaruga marina.

Qualcosa non torna nemmeno sul piano legale. Le autorità italiane, ricordano infatti le organizzazioni ambientaliste, avevano proposto quest’area come Sito di Importanza Comunitaria (Sic), o «sito Natura 2000», ai sensi del diritto Ue. Secondo una legge introdotta nel 2010, le attività di ricerca offshore di idrocarburi sono vietate entro 12 miglia dal confine con aree marine protette. Per questa disposizione, dunque, l’autorizzazione concessa a Teodorico andrebbe contro il diritto nazionale e comunitario, specificano nel ricorso. «Il parere positivo dato a questo progetto di ricerca di gas che avverrebbe al confine di un’area protetta, e senza nemmeno valutare che impatto potrebbe avere su di essa, è incomprensibile ed è – spiegano le associazioni firmatarie – una palese violazione della normativa nazionale e comunitaria sulla protezione della natura. Le autorità italiane hanno l’obbligo di proteggere il patrimonio naturale del Paese non solo per l’importanza storica ed economica che ricopre, ma anche per il ruolo cruciale che gioca nella salvaguardia del nostro futuro. Due crisi parallele minacciano la vita sulla Terra: la crisi climatica e la perdita di biodiversità. Dare la priorità all’esplorazione dei combustibili fossili rispetto alla protezione della fauna selvatica le aggrava entrambe».

La nuova decisione si affianca, come precedentemente accennato, al ricorso presentato dalla direzione del Parco regionale veneto del Delta del Po, da nove comuni e dalla Provincia di Rovigo. Tra i punti chiave vi è la sottovalutazione dei danni che le trivellazioni potrebbero causare al territorio, con l’ulteriore abbassamento del terreno sotto il livello del mare. Aumentando il rischio di subsidenza, ovvero il progressivo sprofondamento del suolo, che già avviene a causa dello sfruttamento dei combustibili fossili in atto. Una critica già mossa nel Polesine, che in passato è insorto più volte contro la ricerca e il prelievo di idrocarburi.
Le cinque organizzazioni ambientaliste sostengono, infine, che «il via libera a Teodorico è incoerente con lo sviluppo del piano nazionale cosiddetto Pitesai», finalizzato a identificare, sul territorio nazionale, le aree idonee per i progetti legati allo sfruttamento degli idrocarburi. Il piano è in fase di sviluppo, tutte le attività di ricerca e prospezione sono sospese. E sebbene la sospensione non riguardi direttamente il progetto, «il piano potrebbe rivelare che il sito non è idoneo all’esercizio delle relative attività».