È un multilateralismo ammaccato e quasi a una dimensione che è andato in scena a Glasgow all’apertura della Cop26, in un contesto di guerre commerciali e di aumento dei prezzi dell’energia che fanno tremare i governi.

LA GRANDE MESSA DELL’ONU, a sei anni dall’Accordo di Parigi dovrebbe impegnare il mondo a mettere in atto e migliorare le decisioni del 2015. I leader delle grandi democrazie, il giorno dopo le vaghe conclusioni del G20 di Roma che ha ceduto volentieri alle esigenze dei grossi produttori di Co2 extra Usa e Ue, hanno fatto gara di retorica negli interventi di apertura, in risposta all’allarme ripetuto del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres: «è tempo di dire basta», «basta alla brutalità sulla biodiversità», «basta ucciderci con il carbone», bisogna «salvare l’umanità» invece di «scavare la nostra tomba».

MENTRE I LEADER dei principali regimi autoritari erano assenti o lontani: Cina e Russia sono tra i maggiori responsabili per il Co2, ma Xi Jinping non si è neppure collegato in video (come al G20) e ha inviato un foglio dove invita «a fare di più», Vladimir Putin assente, come il brasiliano Bolsonaro e il presidente del Messico Lopez Obrador. Erdogan ha deciso all’ultimo momento di rientrare in Turchia. Per l’indiano Modi la neutralità carbone sarà tra 50 anni, per il 2070.

IN MEZZO, I PAESI POVERI, vittime di «una storia di diseguaglianza – ha detto il naturalista inglese David Attenborough – i meno responsabili sono i più colpiti», che aspettano che si concretizzi l’impegno preso 12 anni fa di finanziamenti di 100 miliardi l’anno per la transizione e l’adattamento, mentre il G20 ha aggiornato il rispetto dell’obiettivo a non prima del 2023. Per il rappresentante di una piccola isola, «1,5 gradi per sopravvivere, 2 gradi è la pena di morte».

IL PADRONE DI CASA BORIS Johnson ha persino ripreso Greta Thunberg, che invita tutti a firmare un’accusa di «tradimento» dei leader: «tutte le promesse sarebbero solo un blablabla» se ci sarà un fallimento a Glasgow, che scatenerebbe «collera e impazienza incontrollabili», «sì, sarà difficile, ma possiamo farlo, mettiamoci al lavoro».

JOE BIDEN, che ha dovuto ridimensionare la riforma ambientale, assicura che gli Usa sono «in grado di ridurre le emissioni a effetto serra del 50-52% entro il 2030, rispetto al 2005». Per il presidente statunitense, che si è scusato per l’uscita di Trump dall’Accordo di Parigi, «agire contro il riscaldamento climatico è un obbligo morale e economico». Entra qui in gioco la carta vincente che l’occidente spera di avere nella manica: la salvezza arriverà dalla tecnologia, riusciremo a produrre energia senza inquinare e nella quantità necessaria per evitare di cambiare di modello.

MARIO DRAGHI PARLA di «alternative» alle rinnovabili. Israele offre la sua tecnologia. Ma persino il principe Charles ha dei dubbi: «Molti paesi già risentono dell’impatto devastante del cambiamento climatico, il costo della non azione e ben superiore a quello della prevenzione». Emmanuel Macron afferma che «gli accordi commerciali devono riflettere gli impegni climatici», dopo che un tribunale francese ha condannato il governo per il non rispetto degli impegni climatici. «Ambizione», «solidarietà», «fiducia e trasparenza» per il presidente francese, che ha dato la medaglia a Ue, Francia e Gran Bretagna, invitando gli «altri» ad «alzare gli obiettivi. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, mette sul tavolo altri 5 miliardi Ue (sono 27 per il 2020).

PER IL PRESIDENTE DELLA COP26, Alok Sharma, «quello che dobbiamo fare a Glasgow è più difficile che a Parigi» nel 2015. Allora, con molte difficoltà, è stato raggiunto l’accordo. Adesso ci sarà un test di credibilità dell’Accordo del 2015: siamo alla prima revisione (ogni cinque anni, ma i paesi più vulnerabili riuniti nel Climate vulnerable Forum chiedono che sia ogni anno), dove dovrebbero essere riviste le regole di trasparenza, il calendario, il bilancio previsto per il 2030, il funzionamento del mercato carbone internazionale (lasciato in sospeso dalle Cop 24 e 25) con nuove regole di scambio, su cui ha insistito Angela Merkel. Non è previsto un nuovo accordo a Glasgow, ma una serie di decisioni concrete e precise, c’è bisogno di «onestà, serietà, chiarezza», riassume la negoziatrice dell’Accordo di Parigi, Laurence Tubiana, direttrice del Fondo europeo per il clima. L’unico risultato concreto finora è che, con le misure promesse dagli stati, a fine secolo ci sarà un aumento medio della temperatura di 2,7 gradi (cioè una piccola inflessione rispetto a +3,2 gradi, se non viene fatto nulla), «una catastrofe climatica» secondo l’Onu.

IL G20, CIOÈ LE VENTI nazioni più ricche che producono l’80% di Co2, si è impegnato a «proseguire gli sforzi» per restare a +1,5 gradi, ma ha evitato di dare una data precisa per la neutralità carbone («verso la metà del secolo», Cina e Russia vogliono il 2060) e ha rifiutato di impegnarsi a mettere fine all’estrazione di carbone (c’è solo la promessa, già fatta al G7, di non finanziare più centrali a carbone all’estero dalla fine di quest’anno). 17 paesi su 20 hanno precisato gli obiettivi di neutralità carbone, e si va dal 2050 (la Ue, con diminuzione del 55% nel 2030), al 2070, per l’India, mentre Indonesia e Messico non hanno preso decisioni.

AUSTRALIA, RUSSIA, CINA, Arabia Saudita, Brasile e Turchia non intendono prendere impegni per il 2030 e rimandano a metà secolo.