La «cara città verde» – questo il significato di Glasgow in gaelico – è stata scelta come città ospitante dal comitato organizzativo della Cop 26 per «la sua esperienza, per il suo impegno sulla sostenibilità e per le sue infrastrutture di prima classe». La città si è infatti impegnata a raggiungere la neutralità delle emissioni (la differenza fra le emissioni prodotte e quelle assorbite) entro il 2030. A questo scopo, si è dotata di un sistema d’illuminazione pubblica a Led, ha avviato una corposa campagna di promozione delle auto elettriche e d’installazione di stazioni di ricarica, ha istituito una Low Emission Zone in tutta l’area cittadina e ha avviato numerose altre iniziative che vedono spesso il coinvolgimento attivo di cittadini e cittadine.

Tutto ciò ha portato Glasgow a posizionarsi come quarta al mondo per sostenibilità nella classifica Global Destination Sustainability. Tuttavia, l’assenza di altre città britanniche nelle posizioni di testa dà la misura di quanto Glasgow costituisca un unicum sia a livello britannico che scozzese.

E d’altronde non mancano i problemi anche nella stessa Glasgow. In particolare, al momento si discute molto del trasporto pubblico. Nel settembre 2020 è nata la campagna civica Free Our City che lamenta i costi troppo alti del trasporto pubblico, le esenzioni dal pagamento ancora insufficienti e l’assenza di biglietti che consentano di utilizzare più di una tipologia di trasporti. Si aggiungano a questo quadro i disagi al trasporto pubblico che saranno apportati dalla Cop26, con i glaswegian invitati a riprogrammare il loro tragitto giornaliero.

Tutto ciò si inserisce in un atteggiamento per lo più ambivalente del partito di governo scozzese, lo Scottish National Party (Snp), rispetto alla questione ambientale. La Scozia è fra le prime nazioni in Europa per decarbonizzazione, ma non è riuscita negli scorsi anni a centrare gli obiettivi prefissati. La stessa premier Nicola Sturgeon ha sottolineato che le emissioni sono recentemente arrivate al 51% in meno rispetto al 1990, anche se è stato mancato l’obiettivo prefissato del 55%.

Le ambiguità del governo sono ancora più evidenti in merito alla questione delle risorse petrolifere. La Scozia ha infatti importanti giacimenti di petrolio nel Mar del Nord e si stima abbia tratto da esse un totale di 45 miliardi di barili dal 1969 a oggi. Se da un lato queste risorse energetiche sono state in passato assunte a simbolo della causa indipendentista scozzese, dall’altro esse sono diventate terreno di grandi divisioni fra gli stessi membri dello Snp, partito in cui la spinta ambientalista è in costante aumento.

La premier Sturgeon sembra aver accantonato le ambiguità del passato dichiarando che la Scozia «non può continuare con uno sfruttamento illimitato degli idrocarburi se intende rispettare gli Accordi di Parigi». I dettagli di come ciò sarà messo in pratica, tuttavia, non sono ancora noti e dipenderanno anche dall’esito della Cop26. Tale svolta sembra imputabile sia alla recente alleanza di governo fra Snp e i Verdi, frutto delle elezioni parlamentari del 2020, che alla crescita di movimenti ambientalisti come Extinction Rebellion Scotland, che ha di recente occupato la base petrolifera di Invergordon, e più in generale alla costante crescita della consapevolezza ambientale fra i cittadini e le cittadine scozzesi.